In libreria trovate questa antologia di racconti apocalittici, pubblicati da Il Saggiatore e affidati alla curatela di Andrea Esposito che ha scavato fra le più selvagge e folli di queste fantasie e selezionato una partitura di pagine sulla fine del mondo: dall’orrore visionario di H.P. Lovecraft alla fantascienza steampunk di Jules Verne, da un oscuro dramma di Aleksandr Puškin all’ultimo uomo sopravvissuto di Mary Shelley. Prende forma una sinfonia percussiva che include la poesia di Sara Teasdale e di Lord Byron, la prosa di Leopardi e di Hawthorne, e che accoglie negli intermezzi rare gemme nascoste: miti norreni, vangeli apocrifi e le terribili visioni che anticiparono l’arrivo dei conquistadores spagnoli in Messico. I racconti dell’apocalisse compongono l’antologia definitiva del nostro terrore più viscerale; ci aiutano a esorcizzarlo, nel contempo facendocene assaporare il fascino primitivo e risvegliando il cupio dissolvi nascosto dentro ognuno di noi.
Cattedrale vi propone uno dei racconti della raccolta, per gentile concessione dell’editore.
La fine del mondo
di Robert Walser
Una fanciulla, che non aveva né padre né madre, né fratello né sorella, che non apparteneva a nessuno e non aveva casa in nessun luogo, ebbe l’idea di mettersi a correre fino a quando non fosse arrivata alla fine del mondo. Non aveva bisogno di portare con sé molta roba, né di caricarsi troppo di bagagli. Infatti non possedeva nulla. Se ne andò così come si trovava. Il sole splendeva, ma la povera fanciulla non prestava alcuna attenzione al suo splendore. E correva, correva, passando accanto a molte cose meravigliose, ma anche a queste non prestava alcuna attenzione. E correva, correva, passando accanto a molte persone, ma nemmeno a queste prestava attenzione. E correva, correva… Venne la notte, ma la fanciulla non fece caso alla notte. Non faceva caso né al giorno né alla notte, né alle cose né agli uomini, né al sole né alla luna e nemmeno alle stelle. E correva, correva, e non sentiva né angoscia né fame. Aveva in testa una sola cosa, una sola idea: cercare la fine del mondo e correre fino a quando non l’avesse trovata. Sarebbe ben riuscita a trovarla, pensava. «È oltre» pensava «è oltre ogni altra cosa. È proprio alla fine». Aveva ragione la fanciulla? Aspettate solo un istante. Oppure aveva sbagliato i propri calcoli? Ma insomma! Aspettate un attimo! Adesso vedremo. La fanciulla correva, correva… Si immaginò la fine del mondo prima come un’alta muraglia, poi come un profondo abisso, come un bel prato verde, come un lago, poi come una stoffa con puntini, come una grossa e densa poltiglia, come aria e nient’altro, poi come una bianca e levigata superficie, come un mare di gioie nel quale si sarebbe potuta dondolare in eterno, come un bruno sentiero, e poi come il nulla assoluto o come ciò di cui purtroppo non riusciva a farsi una precisa idea.
E correva, correva… La fine del mondo pareva irraggiungibile. La fanciulla errò per sedici anni attraverso mari, pianure e montagne. Nel frattempo era diventata grande e robusta, ma rimaneva sempre fedele all’idea di correre fino a quando non avesse raggiunto la fine del mondo. Però non l’aveva ancora raggiunta, anzi, sembrava esserne ancora molto lontana. «Questo comunque non si può sapere!» pensava. Allora chiese a un contadino, che si trovava sulla strada, se sapesse dov’era la fine del mondo.
«Fine del mondo» era il nome di una casa colonica delle vicinanze. Perciò il contadino disse: «Si trova a mezz’ora di distanza da qui». Udite queste parole, la fanciulla ringraziò il contadino per la cortese informazione e proseguì. Ma quella mezz’ora sembrava quasi un’eternità, e allora chiese a un ragazzo che veniva dalla direzione opposta quanto tempo ci volesse ancora prima di arrivare alla fine del mondo. «Ancora dieci minuti» disse il ragazzo. La fanciulla lo ringraziò per la cortese informazione e proseguì. Era ormai allo stremo delle forze. Solo a fatica riusciva ancora a camminare.
Alla fine scorse in mezzo a un prato accogliente e rigoglioso una casa colonica. Era grande, bella, una vera meraviglia di casa. Ed era così calda, semplice, invitante, così fiera, così graziosa e insieme così nobile. Era circondata da splendidi alberi da frutta, tutt’attorno vi zampettavano i polli, in mezzo al grano soffiava un vento leggero, l’orto era colmo di verdure, sul pendio spiccava un alveare il quale, come si conviene, emanava profumo di miele, e c’era anche una stalla piena di mucche, e tutti gli alberi erano carichi di ciliege, di pere e di mele. Tutto aveva un aspetto così ricco, libero e raffinato che la fanciulla pensò immediatamente che dovesse trattarsi della fine del mondo. Grande fu la sua gioia. Evidentemente, proprio in quel momento in cucina si stava preparando da mangiare. Infatti dal camino usciva un tenero, sorridente e grazioso filo di fumo che subito scappava via volatilizzandosi come un piccolo birbante. La fanciulla, pallida e trepidante a causa della spossatezza, chiese: «Mi trovo alla fine del mondo?». «Sì, cara fanciulla» rispose la contadina «ti trovi proprio alla fine del mondo.» «Vi ringrazio per la cortese informazione…» ebbe appena il tempo di dire la fanciulla, poi cadde a terra sfinita. Caspita! Subito però fu sollevata da mani premurose e sistemata in un letto. Quando tornò in sé si accorse infatti di trovarsi in un graziosissimo lettuccio, presso quelle care e buone persone. «Posso restare qui?» chiese. «Voglio servirvi nella migliore maniera possibile.» «Perché no?» le risposero «noi ti vogliamo bene. Resta qui da noi, e aiutaci con tutte le tue capacità. Abbiamo proprio bisogno di una ragazza laboriosa, e se sarai brava ti considereremo come una nostra figlia.»
La fanciulla non se lo fece dire due volte. Cominciò a darsi da fare con solerzia e a servire con grande bravura. Tutti le vollero subito bene, e la fanciulla non corse più in cerca della fine del mondo. La sua casa ora era quella.
© il Saggiatore S.r.l., Milano 2022