Ragazzacce, di Barry Gifford

Jimenez edizioni porta in libreria Il mondi di Roy, di Barry Gifford, tradotto da Michele Carpi. Il mondo di Roy raccoglie i racconti brevi, a volte brevissimi, che Barry Gifford ha scritto nel corso di decenni, tutti con protagonista il giovane, irresistibile Roy, suo palese alter ego. Il mondo di Roy è, a suo modo, il romanzo di formazione che Barry Gifford non ha mai scritto: una carrellata di diapositive piuttosto che un film, una storia che procede in modo ellittico, che mescola realtà e immaginazione e che dà forma, come in un sogno, a ricordi e desideri, speranze e paure, per tornare sempre lì dove solo la buona letteratura sa arrivare, nel cuore del personaggio e del lettore.

Cattedrale vi propone uno dei racconti contenuti nella raccolta, per gentile concessione dell’editore.


RAGAZZACCE
di Barry Gifford

Jimmy Boyle chiese a Roy di accompagnarlo ad Uptown a incontrare una ragazza che aveva conosciuto il sabato prima al cinema Riviera.
«Perché non ci vai da solo?» domandò Roy.
«Ha detto che viene con un’amica» disse Jimmy.
«Ho bisogno che mi dai una mano, che ci parli tu con la sua amica».
«Sono delle buzzurre?».
«Penso di sì. Babylonia mi ha detto che la sua famiglia si è trasferita qui dal West Virginia».
«Babylonia? Si chiama Babylonia?».
«Sì, ma dice che tutti la chiamano Babs».
«La maggior parte di quelli che si sono trasferiti qui dagli Appalachi vivono ad Uptown» disse Roy.
«Babs mi ha detto che fino ai dieci anni ha vissuto in una città così piccola che non c’era neppure un semaforo, poi si sono trasferiti a Wheeling e sono rimasti lì fino a un anno fa. Sono arrivati a Chicago il giorno dopo che aveva compiuto tredici anni».
«Com’è?». Jimmy fece un’alzata di spalle.
«Non so. Capelli castano chiaro, occhi azzurri, un po’ magrolina. Ma la sua pelle è bianca come una statua. Più bianca del latte».
«Dove dovresti incontrarla?».
«Sulla Kenmore, dietro il Graceland Cemetery, all’una. Lei dice ai suoi che va al cinema con l’amica». «Perché il cimitero?».
«Credo abiti lì vicino».
Era metà novembre ma non faceva troppo freddo. Nel cielo, completamente grigio, non si vedeva volare neanche un uccello, cosa che fece sentire Roy come se fosse uno degli ultimi sopravvissuti in un pianeta in agonia. Lui e Jimmy Boyle si avviarono dalla Ravenswood alla Montrose, svoltarono a sinistra e si diressero verso Kenmore Avenue. Le strade erano vuote come il cielo.
«E se non vengono?» disse Jimmy.
«Ce ne andiamo a fare un giro al Loop, e magari incontriamo lì qualche ragazza».
Non c’era nessuno all’angolo tra Kenmore e Montrose, così i ragazzi si diressero verso sud e camminarono lungo il lato est del cimitero.
«Conosci qualcuno sepolto qui?» domandò Jimmy.
«No. Papà è stato seppellito al Rosedale».
«Eccole» disse Jimmy. «Te l’ho detto che sarebbe venuta».
A metà dell’isolato c’erano le due ragazze, entrambe con un foulard nero intorno alla testa, caban blu, gonna corta nera con calze nere e scarponcini neri. Una delle due stava fumando una sigaretta. «Ragazzacce» disse Roy.
«Lo spero» disse Jimmy Boyle.
Quando furono più vicini, Roy notò che la ragazza che fumava aveva in bocca anche una gomma da masticare. Aveva i capelli neri e gli occhi neri. L’altra era quella di Jimmy. «Ciao, Babs» disse Jimmy Boyle. «Lui è Roy».
«Ciao, Jimmy» disse Babs.
«Ciao, Roy. Lei è Sunny».
«Sunny con la u o con la o?» domandò Roy.
Sunny si tenne il gomito destro con lamano sinistra. Aveva la sigaretta nella destra e non sorrideva. Fece schioccare la gomma da masticare. «Lei lo scrive con la u» disse Babs.
«Roy come Roy Rogers» disse Sunny.
«Roy Rogers è adorabile» disse Babs.
«Mia madre dice che è mezzo indiano».
Sunny si era truccata per nascondere dei brufoli sulle guance e sul mento, ma Roy pensò che era bellissima, addirittura bella come Gene Tierney. Aveva sentito dire dalla madre del suo amico Frankie, una che leggeva un sacco di riviste hollywoodiane, che Gene Tierney era pazza e che periodicamente dovevano ricoverarla in manicomio. Comunque, Sunny era molto più carina di Babs, anche se quello che aveva detto Jimmy sulla pelle di Babs era vero.
«Andiamo da qualche parte?» domandò Babs.
«Dove volete andare?» disse Jimmy.
«Ho fame» disse lei.
«Andiamo da Billy the Greek’s a Irving Park. Possiamo tagliare per il cimitero».
Jimmy Boyle e Babs si avviarono per primi e Roy e Sunny gli andarono dietro. Dopo un minuto, Sunny disse a Roy: «Sono greca. I miei vengono dal Pireo. Ma mi hanno avuta qui, quindi sono greco-americana».
«Anch’io sono americano di prima generazione» disse Roy. «Mio padre veniva da Vienna, in Austria».
«Non credo di avere mai conosciuto qualcuno dell’Austria».
Sunny gettò via la sigaretta. Era alta quasi quanto Roy. «Quanti anni hai?» chiese lui.
«Quattordici, come Babs. E tu?».
«Quattordici e mezzo».
Proseguirono un altro minuto senza parlare, poi Sunny disse: «Ti piacciono i cimiteri?».
«Non da quando papà è morto» disse Roy.
Sunny si fermò e poggiò la mano destra sull’avambraccio sinistro di Roy. Si fermò anche lui. «Oh, Roy, mi spiace avertelo chiesto».
Roy la guardò negli occhi. Erano marrone scuro con una sfumatura di rosso. «È tutto a posto» disse. «È morto un paio di anni fa».
Sunny intrecciò il braccio destro al sinistro di Roy, e ripresero a camminare. Con la sinistra si tolse la gomma di bocca e la lanciò a terra. «Mia madre è morta un anno fa» disse Sunny, «quando io stavo al Chicago Parental».
«Sei stata in riformatorio?». Sunny annuì.
«Per cosa?».
«Assenteismo cronico».
«Che vuol dire cronico?».
«Vuol dire che facevo sega a scuola troppo spesso» disse Sunny. «Ero sconvolta, perché mamma stava male e io non potevo fare niente per aiutarla. Suo marito? Non è mio padre. Mio papà, quello vero, è andato in Corea con l’esercito e non è mai più tornato. Probabilmente è ritornato in Grecia».
«Com’è il tuo patrigno?».
«Ah, lui. Un ubriacone. Lavorava al carico dei camion al South Water Market. Ha provato a stuprare mia sorella il giorno del suo sedicesimo compleanno, così adesso è in galera. C’era sempre una brutta aria a casa nostra, e io stavo fuori tutto il tempo. Sono stata al Chicago Parental per tre mesi. Mi hanno fatta uscire quando mia madre è morta e sua sorella, zia Edita, è venuta a vivere con me e mia sorella. È molto gentile». «Vai di nuovo a scuola?».
«Sicuro. Ho la media della B».
Camminavano lentamente, lasciando che Jimmy Boyle e Babs andassero avanti.
«Abbiamo delle cose in comune, Roy. È molto importante, non credi? Voglio dire, se diventeremo amici». «Il tuo patrigno ci ha mai provato con te?».
«Naah. Valeria è più bella di me, e ha già le tette grosse. Per cui non badava molto a me. È ungherese». «Bene, sono contento che ci sia tua zia a prendersi cura di te».
«Suo marito, zio Ganos, un giorno ha dato di matto, non voleva più uscire da un armadio. Quando la polizia ha provato a tirarlo fuori, ha preso uno sbirro a morsi sul naso, gliel’ha quasi strappato via dalla faccia. Mia zia ha detto che a quel poveraccio gliel’hanno dovuto ricucire addosso. Avevo otto anni quando è successo».
«Gesù» disse Roy. «Che è successo a tuo zio?».
«È al Dunning, l’ospedale psichiatrico statale dalle parti di Foster. Probabilmente ci rimarrà per il resto della sua vita».
Quando Roy e Sunny arrivarono a Irving Park, non c’era traccia di Babs e Jimmy. «Saranno già al Billy the Greek’s» disse Roy.
Sunny e Roy erano una di fronte all’altro.
«Roy» disse lei, «vuoi baciarmi?».
Sunny si sporse in avanti e infilò la lingua nella bocca di Roy, poi la fece roteare un po’ di volte.
«Dove l’hai imparato?» chiese Roy.
«Me l’ha insegnato Valeria» disse Sunny. «Una ragazzaccia».