Megan Mayhew Bergman vive in una fattoria nel Vermont con la famiglia e tanti animali. I suoi lavori sono apparsi su The New York Times, McSweeney's, Ploughshares, Oxford American e Best American Short Stories. Paradisi minori , pubblicato da NN editore e tradotto da Gioia Guerzoni, è la sua prima raccolta di racconti.
Pubblichiamo uno dei racconti del libro, per gentile concessione dell'editore.
Prima mi fece vedere il rene.
Questo è il polo craniale, disse Wood, indicando l’estremità a forma di C dell’organo.
Tocca a me, dissi.
Spostò la sonda dell’ecografo passando la punta arrotondata sulla mia pancia tesa.
Penso di averla pulita dopo il rottweiler, disse Wood guardando la sonda con la coda dell’occhio.
Eravamo nella clinica veterinaria dopo l’orario di chiusura, Wood ancora in camice bianco e stetoscopio al collo. Ero seduta sul tavolo d’acciaio, il metallo freddo contro il retro delle ginocchia. Wood si era perso i miei ultimi appuntamenti dal ginecologo e voleva vedere il feto con i suoi occhi.
Non farla cadere, disse passandomi la sonda mentre abbassava le luci dell’ambulatorio e scaldava il gel. Quest’affare costa ventimila dollari.
Mi ero sentita sola durante le ultime visite, ma Wood aveva degli obblighi nei confronti dei suoi pazienti: cani con una zampa rotta, gatti con insufficienza epatica, mucche con la mastite. In sala d’aspetto c’erano donne in lacrime con in braccio shih tzu artritici, furetti con un occhio solo, husky con l’ernia del disco, terrier con allergie gravi al detergente per moquette. Mi ero convinta che avessero molto più bisogno di lui.
Premette la sonda sulla mia pancia.
Qui c’è il sacco gestazionale, disse. E questo chiarore, questo è il cuore.
Restammo in silenzio, a guardare il nostro bambino appena iniziato che cresceva sullo schermo. Due labrador sterilizzati da poco guaivano nelle gabbie, fuori.
Ogni settimana Wood aveva un paziente che mi impediva di vedere, sapendo che non sarei riuscita a resistere e sarei entrata in ambulatorio in ogni caso, con il cuore a pezzi. La scorsa settimana era stato un lemure dalla corona dorata con un tumore, l’ultimo della sua specie in cattività. Nonostante i dolori che di sicuro lo tormentavano, era molto delicato con la sua padrona, e alzava il braccio ossuto in modo che lei potesse accarezzargli il fianco. Quel contatto sembrava confortarlo.
Questa settimana toccava a Cerulean, una femmina di rottweiler con tre zampe.
Può spezzarti il cuore, disse Wood.
Fammela vedere, replicai.
Non è un bello spettacolo. Si è mutilata da sola. Là sotto. Alzò le sopracciglia.
Cerulean era arrivata quella mattina. Wood era un ecografista e i proprietari di Cerulean avevano sperato che riuscisse a trovare un tumore o dei calcoli ai reni – qualcosa che potesse spiegare perché si faceva del male da sola.
Speri sempre che non sia comportamentale, disse Wood. È più difficile curare la mente che il corpo.
Ma non aveva trovato niente. L’ecografia era a posto.
Nessuna mineralizzazione, nessuna massa, disse Wood, deluso.
Cerulean era seduta a terra, con la schiena appoggiata alla parete in cemento. Il manto nero splendeva sotto le luci al neon. Aveva le orecchie piccole. Non riuscivo a guardarla negli occhi. Aveva sparpagliato gli asciugamani sul pavimento. Mi venne da piangere mentre fissavo i cuscinetti gonfi e consumati delle tre zampe.
Al terzo mese di gravidanza sembravo solo grassa. Come se avessi mangiato quattro panini invece che uno, dissi a mia madre. Potevo tenere la pancia con una mano, mettere l’avambraccio sotto la piccola protuberanza che secondo il manuale avrebbe dovuto essere grande come un pompelmo. Non riuscivo a pronunciare la parola ventre.
Wood tornò a casa in camice bianco, puzzava di formaldeide e ghiandole anali. Cosa c’è per cena? chiese senza ascoltare la risposta. Invece infilò la testa nel frigo.
Com’è andato il tuo appuntamento? chiese, togliendosi il camice e sfilandosi la scarpa sinistra con il tallone della destra.
Ho fatto chili con carne ai tre fagioli, dissi, allontanando il gatto dalla cucina.
Pulii dal vetro le impronte di zampe imburrate.
Wood si aprì una birra.
Oggi mi hanno palpato, dissi. Come fai tu con le mucche, quando senti se hanno dei noduli nella pancia.
Capisco se una donna è incinta solo toccandole il bordo dell’utero, si era vantato il mio ginecologo. Dio santo, tocco almeno mille pance ogni anno.
Sullo schermo, il feto si era capovolto, poi si era stiracchiato, un saluto al sole senza sole.
Non riuscivo a smettere di pensare, dissi a Wood, che la sporgenza della sua coda vestigiale assomigliava molto all’estremità di un cocker spaniel.
Scodinzolatori perenni, disse. Urinatori remissivi.
Adorabili. Ti scaldano il grembo, dissi.
Il giorno dopo mia nipote scoppiò a piangere non appena vide l’ecografia appiccicata sulla dispensa in cucina.
Anch’io ho paura, dissi.
E non stavo scherzando.
L’immagine in bianco e nero mostrava il cranio e le vertebre. Le orbite sembravano i crateri della Luna.
In un certo senso, non bastava. Non mi diceva quello che volevo sapere del mio bambino, quello che avevo bisogno di sapere per dormire la notte. Nessuna fotografia poteva dirmi, Andrà tutto liscio.
Più tardi, quella sera, Wood mi massaggiò la schiena, e ricucì con il filo da sutura le spalline del vestito che il mio seno straripante aveva lacerato. Sentivo il suo respiro sulla scapola, l’ago che cuciva il cotone come fosse pelle. Quella sera vennero alcuni amici per cena, carichi di regali, libri per bambini e pupazzetti. Misi in tavola un piatto di crudité ma mi accorsi troppo tardi che alcuni peli di cane erano finiti tra le cime dei broccoli.
Wood parlò dei convegni a cui sarebbe andato, dell’articolo che aveva scritto insieme a un collega sull’uso degli ultrasuoni per monitorare lo sperma nell’apparato riproduttivo del giaguaro femmina. Era difficile star dietro a un discorso sullo sperma di giaguaro congelato.
In cattività, la madre giaguaro può divorare i propri cuccioli, disse.
Arrossii davanti alla sua mancanza di fiducia nelle madri. Era come se Wood vedesse un animale nel cuore di ogni donna. Il lato primitivo.
Ecco, Wood, dissi. Apri questo pacchetto da parte di tua zia. Non è solo figlio mio, sai.
Wood infilò il dito sotto la carta da pacchi.
I tiralatte sono orrendamente simili alle macchine per mungere le mucche, disse mio marito, mostrandomi l’aggeggio. Si mise le ventose sul petto.
Ben presto diventerai la mucca che si munge da sola, mi disse.
I nostri amici scoppiarono a ridere.
Una settimana dopo, Cerulean fu riportata alla clinica per un controllo.
Sa di pizza al salame piccante, disse Wood al telefono. Non capisco.
Non sopportavo il pensiero di lei sul pavimento gelido di cemento, le sbarre della gabbia che le impedivano di vedere, le umiliazioni della sua misteriosa malattia.
Posso portarti il pranzo? chiesi.
Andai in clinica con un sacchetto di panini e uno di giocattoli morbidi per cani.
Cos’è questa roba? chiese Wood con in mano un porcospino decapitato.
Gliene metto uno vicino, dissi.
Wood si mise una mano sugli occhi e mi lasciò sola con Cerulean.
Ciao, le dissi.
Mi guardò con la coda dell’occhio, timida e traumatizzata. Mi sedetti a terra, le gambe raccolte sotto il corpo. Avrei voluto massaggiarle le zampe con una pomata, accarezzarle la schiena.
Ecco, dissi, passandole tra le sbarre il riccio senza testa e poi il gatto di stoffa.
Voglio fare da madre a tutto il mondo, pensai. Ho così tanto amore dentro.
E poi, Non sono in grado di fare la madre. Sono una donna egoista.
Dopo, Certo che posso farlo. Milioni di donne sono state madri.
Infine, Mi sento molto sola. Non so di cosa sono capace.
Al mio feto crebbero le braccia, e il suo sacco vitellino sembrava un fumetto.
Queste, disse il ginecologo indicando una caramella Polo sullo schermo, sono le cellule sessuali dei suoi nipoti.
Gli dica che mi dispiace per tutta l’erba che ho fumato al college, dissi. E per quella volta che... be’, ce ne sono state tante.
Mi chiesi se mi sarei trasformata in una madre mitica, se all’improvviso i miei pancake sarebbero diventati leggendari, i miei vestiti perfetti, i miei massaggi sulla schiena magici.
Quando dissi a Wood che ero incinta, si era tolto la felpa e stava mettendo sul tavolo il cacatua a cui doveva somministrare un farmaco.
Penso che mi abbia cagato nel cappuccio, disse.
Wood aveva le guance arrossate. Gli toccai la spalla. Era sabato e lo stavo aiutando con le prime visite. Mi piacevano quelle mattinate in cui la clinica era silenziosa e c’eravamo solo noi due a dare da mangiare agli schnauzer e ai furetti sorseggiando caffè e commentando le notizie del giornale.
Sono felice, chiarì qualche minuto dopo, abbracciandomi e baciandomi sulla testa.
Volevo essere interessante per lui quanto un tumore sulla parete della vescica, quanto il suo lavoro in laboratorio. Volevo essere analizzata, visitata dalle sue mani, discussa, diagnosticata. Volevo tenerlo alzato fino a tardi, volevo che corresse da me al mattino presto.
A Cerulean è piaciuto il gatto di stoffa, disse Wood mentre andavamo al corso preparto.
Poi mi ricordò che doveva andare via presto per il retriever Chesapeake Bay. Infezione alla cistifellea, disse.
L’istruttrice indossava leggings di felpa e una canottiera viola.
Alcune donne, disse con le mani a coppa come se reggesse una palla, durante il parto raggiungono l’orgasmo.
Mi sa che dovrò cavarle il terzo occhio, sussurrai a Wood.
Wood non capiva le mie paure – aborto, autismo, parto prematuro.
Spero che venga fuori come una capra, gli dissi. Forte, con gli zoccoli, pronta a mettersi subito in piedi.
In primavera aiutavamo sempre la scuola veterinaria a far nascere i piccoli. Le capre da carne gonfie di gemelli, le pecore immobili con i loro agnellini immobili, vacillanti e leggeri sulla terra battuta. Alzavamo i più gracili fino alle mammelle della madre, toglievamo i più piccoli dai cumuli di paglia quando li vedevamo deboli, li allattavamo con il biberon se c’erano speranze.
Andrà tutto benone, mi disse, dandomi un buffetto sulla pancia. Razza robusta.
Ma sapevo come sarebbe andata. Sarei andata in congedo di maternità e lui sarebbe tornato a casa tardi per cena. Mi sarebbe uscito il latte sentendo il gatto miagolare alla luna dalla finestra sulle scale. Mi sarei svegliata con le lenzuola appiccicose. Avrei amato e brontolato con uguale intensità.
Mi dispiace essermi persa la rivoluzione asessuale, dissi. Afidi, api, squali martello in cattività. Loro sanno di essere soli. Non si aspettano di essere capiti.
Quello che l’ape del Capo guadagna nel martirio, lo perde in potenziale genetico, disse Wood.
Autonomia, accennai.
Pensa al lemure della settimana scorsa, disse Wood. Era l’ultimo della sua specie. Aveva bisogno degli altri.
Avevo pensato a scene da presepio. Cammelli chini sulla mangiatoia come il mio gatto che faceva il nido nella culla. Giuseppe che fingeva di avere le mani legate, di non essere responsabile.
L’istruttrice del corso preparto fece girare una ciotola di frutti di bosco.
Wood alzò una mano in segno di protesta.
Posso anche non guardare, disse. So come funziona.
Nelle ultime settimane di gravidanza, cominciò a spiegare l’istruttrice, la cervice diventa morbida come un frutto maturo.
Queste donne non ne sanno un granché, bisbigliò Wood. Mi piacerebbe portarle a fare una gita didattica. Mi piacerebbe accompagnarle in una fattoria durante la stagione del parto.
Ma è diverso, dissi. Il tuo bambino non sarà un ruminante.
Ricordatevi, disse l’istruttrice. Potrebbero volerci giorni prima che vi innamoriate del vostro bambino.
Il sabato successivo la gabbia di Cerulean era vuota. Al gatto di stoffa, in un angolo, mancava un occhio.
Non voglio sapere come va a finire, dissi a Wood.
Più tardi, mentre il sole si alzava, Wood mi fece mettere sul fianco e scaldò il gel conduttore. Il tavolo era freddo.
Premette la sonda sulla mia pancia, tesa come una tela. Lì in ambulatorio le sue dita erano abili, rassicuranti, gli occhi concentrati sul bambino sotto la mia pelle. Percepivo la sua aspettativa, mi avvolgeva come l’amore.
Gli ultrasuoni sono perfetti per visualizzare il cuore, disse Wood. È un organo pieno di fluido.
A parecchi stati di distanza, una donna aveva dato alla luce otto gemelli, come cuccioli. Forse un’altra aveva inarcato la schiena in estasi mentre una testa di trentacinque centimetri di diametro le spuntava dalla cervice. Una femmina di lemure in via d’estinzione si mordeva il ventre vuoto dentro alla gabbia dell’ospedale di uno zoo. Io guardavo un cuore piccolo ma veloce battere tra le costole sfocate di nostra figlia. Spero che non ti si spezzi mai, dissi, anche se sapevo che si sarebbe spezzato eccome, mille volte.
Wood tracciò sullo schermo il profilo degli organi di nostra figlia con il dito.
Raccontami ancora della riproduzione del giaguaro, dissi.
La gestazione dura poco più di novanta giorni. Se allo stato brado le vengono sottratti i cuccioli la madre li cerca per ore, ruggendo di continuo.
Lo farei anch’io, dissi. Te lo giuro.
© 2012 by Megan Mayhew Bergman
Published by arrangement with The Italian Literary Agency.
© 2017 Enne Enne Editore, Milano