di Debora Lambruschini
«Tutte le storie sono storie d’amore», recita l’incipit di Eureka Street, di Robert McLiam Wilson. Lo è questa mia nei confronti di due autori, Nickolas Butler e Giulio D’Antona, con il loro sguardo sulla scrittura e il Midwest. E, forse, lo sarà anche un po’ la vostra dopo la lettura di questo dialogo con entrambi, in occasione dell’uscita di Storie dal Wisconsin, da poco pubblicato per Black Coffee e tradotto da Federica Principi.
Perché il Wisconsin? Per gli autori che compongono la raccolta è il luogo da chiamare casa, per noi lettori è quello da scoprire meglio, il Midwest raccontato con dovizia di particolari, spunti, che ci permette di superare un po’ dei tanti stereotipi che ingabbiano la nostra percezione degli Stati Uniti e della sua letteratura.
Ne è nata una raccolta polifonica e potente, che mette insieme alcune delle voci più interessanti del panorama letterario contemporaneo del luogo.
L’idea di un saggio sul Wisconsin parte da te, Giulio. Puoi raccontarci le ragioni dietro questa scelta, la collaborazione con Butler (al quale sappiamo ti lega anche profonda amicizia) e il percorso editoriale di questa raccolta?
[Giulio D’Antona] Il Wisconsin è lo stato che probabilmente più di tutti è stata una sorpresa per me. Sono convinto che incarni un’idea di americanità che non esiste più da nessun’altra parte. Inizialmente, ho proposto a Nick di scovare degli scrittori del Midwest e mettere insieme una raccolta, ma ben presto abbiamo virato sul solo Wisconsin, dove di voci ce ne sono tante e varie, e ci sembrava il modo migliore per raccontare uno spaccato d’America senza tradirne la diversità. Riguardo alla collaborazione: siamo amici, penso che lui abbia uno spiccato senso per la scrittura: oltre a essere un ottimo narratore è un ottimo cercatore di storie, e infatti ha scovato qualche gemma per questa raccolta. Black Coffee è stata la prima scelta, ed è stata semplice come scegliere di lavorare con Nick: mi piaceva il loro lavoro, erano amici, erano contenti di fare il libro. Esiste una condizione lavorativa migliore?
Nickolas, la prima volta che ci siamo parlati è stato nel 2015, in occasione dell’uscita in Italia del tuo romanzo Shotgun Lovesongs. Ricordo il tuo stupore pensando al pubblico italiano, lontanissimo dai luoghi delle tue narrazioni, che aveva accolto con grande entusiasmo il libro. Questa sensazione ti accompagna ancora?
[Nickolas Butler] Sono assolutamente sbalordito e terribilmente grato a Black Coffee Edizioni per aver pubblicato questa raccolta di saggi sul mio stato d'origine, il Wisconsin. Inizialmente l'idea era di pubblicare una raccolta sul Midwest americano, ma ho spinto per il Wisconsin. Quando l'idea è stata accettata, ho spinto per una collezione specifica su Eau Claire, Wisconsin! Ma penso che siamo arrivati a una via di mezzo molto buona e accettabile.
Sì, sono ancora sbalordito dalla generosità e dalla curiosità dei lettori, della stampa e dell'editoria italiane. Sono sempre tremendamente grato, indipendentemente dal successo del libro. Non do nulla per scontato.
La selezione dei testi qui raccolti è davvero interessante per polifonia, sguardi, postura autoriale. Ma è per forza di cose una selezione, che implica dei criteri organizzativi precisi, delle esclusioni. Come sono state operate queste scelte?
[Giulio D’Antona] Volevamo che, in qualche modo, fosse rappresentata una complessità: di genere, di provenienza, di lingua, di poetica, di storie raccontate. Per questo abbiamo pescato nei bacini più vari, basandoci sulle esperienze dalle quali sapevamo che venivano gli scrittori. Prendi Jay Gilbertson, credo che la sua esperienza di farming nel Wisconsin rurale sia di per sé uno spaccato incredibilmente interessante della realtà dello stato; Josh Swanson, che costruisce barche su un lago remoto; Lopa Basu, che è venuta in Wisconsin da un’esperienza travagliatissima… Insomma, ci piaceva che le voci dei nostri autori fossero dense di vissuto. Credo, spero, che lo siano state.
Leggendo le storie e le parole che le accompagnano emerge l’idea di un luogo complesso, che non può essere ridotto a scarni elementi stereotipati e troppo facili semplificazioni. Quali sono a tuo parere gli stereotipi più resistenti nella narrazione del Wisconsin?
[Nickolas Butler] Ottima domanda. Penso che nel Midwest americano, e forse nel Wisconsin in particolare, ci venga insegnato che nessuno è speciale: siamo tutti uguali. Non è una virtù per noi voler troppo attirare l’attenzione o essere audaci, fieri o farci troppa autopromozione. Penso che questo porti a un tono di scrittura più tranquillo, o forse a un tono di scrittura autoironico. Invece di celebrare l'individuo, penso che molti scritti del Wisconsin riguardino la natura o la comunità.
Il Wisconsin è anche un luogo (come l'Italia rurale) dove il passato e il presente sono in stretta conversazione, e per me a volte sembra di vivere in una parte dell'America che è francamente più legata al 1923 o addirittura al 1823, piuttosto che al 2023. Lo intendo sia nel bene che nel male, ovviamente.
Tante le curiosità, le tradizioni e gli aspetti culturali e comunitari emersi dalla lettura, in un ritratto davvero affascinante di questo luogo. Molte cose sono lontanissime dal nostro immaginario e ci sorprendono. Qual è un aspetto caratteristico del Wisconsin che a tuo avviso è più difficile da far comprendere a un lettore straniero?
[Nickolas Butler] Una caratteristica della scrittura del Wisconsin che potrebbe essere difficile da comprendere per un lettore straniero…. Ebbene, anche se qualcosa è estraneo o strano, penso che già l'idea che un lettore abbia acquistato un libro di narrativa straniera o abbia tentato di leggere quel libro sia un atto di straordinaria curiosità e apertura. Sono sicuro che ci sono aspetti della vita e della scrittura del Wisconsin che potrebbero sembrare strani a un italiano, ma non impenetrabili, spero. Mettiamola così: quando ho letto “Le otto montagne” di Paolo Cognetti, non sapevo nulla delle Alpi italiane. Non sapevo nulla dei rifugi di montagna. Mi sono aperto per esplorare un'altra parte del mondo. Questa è la meraviglia e il miracolo della lettura, ovviamente. La possibilità di viaggiare senza uscire di casa.
Il tuo legame con il territorio è fortissimo, si avverte in ogni parola che scrivi. Che cosa significa per te essere uno scrittore del Wisconsin? Una cosa mi ha molto colpita, quella che chiami «mancanza di vanità» ed egocentrismo delle persone, che si riflette anche nel mondo editoriale. Secondo te questo approccio ha un riflesso anche sulla scrittura?
[Nickolas Butler] Penso che almeno per me essere uno scrittore del Wisconsin significhi riferire in modo responsabile e accurato del mio posto su questo pianeta, in modi sia adoranti che realistici. Ma immagino che questo approccio sia abbastanza universale, o almeno spero che lo sia. Quando mi siedo per scrivere, penso ai personaggi, al luogo e alla storia, ma soprattutto alla storia. Sto solo cercando di raccontare una bella storia; è il mio lavoro. Le mie preoccupazioni intellettuali, le mie preoccupazioni politiche, la mia estetica - tutto ciò è secondario e a sostegno della storia.
Hai parlato di “mancanza di vanità”…. e se questo influisce sulla scrittura? Bene, penso che una certa fiducia sia assolutamente necessaria per perseguire l'idea assurda di una vita nelle lettere, ma la vanità penso che aiuti solo nell'editoria, non nello scrivere. L'editoria preferirebbe assolutamente una personalità roboante che può essere commercializzata. Ma quella vanità non ha davvero nulla a che fare con la buona arte. So che questo è vero, assolutamente. Alcuni dei miei migliori insegnanti all'Iowa Writer's Workshop erano persone incredibilmente umili e senza vanità. Sapevano come scrivere libri senza tempo, ma su Twitter o Instagram avrebbero fatto completamente schifo; un pensiero davvero deprimente e una triste dichiarazione del nostro tempo.
Il Wisconsin è un luogo che nel tempo hai imparato a conoscere, come spazio concreto e come spazio letterario. Dal punto di vista strettamente narrativo che cosa ti colpisce della produzione contemporanea e qual è nella tua esperienza la ricezione da parte del pubblico italiano? Penso soprattutto alla forma racconto, dal Wisconsin a più in generale il Midwest.
[Giulio D’Antona] Credo che in generale la narrazione della provincia americana sia la più interessante, oggi. Le grandi città le hanno scritte tutti ed è come se si fossero svuotate della loro carica narrativa, ma la provincia è viva, vibrante, pregna. Larry Watson, che abbiamo avuto la fortuna di avere tra i nostri, è un esempio virtuoso di narrazione costante della provincia selvaggia. E voci relativamente nuove come quelle di Mike Perry e Chloe Benjamin hanno la stessa potenza perché esplorano un territorio estremamente interessante. In Italia la letteratura americana è sostanzialmente recepita in massa, con grande attenzione ma anche con grande “bulimia letteraria”; credo che questo appiattisca un pochino l’esperienza e renda difficile, qualche volta, riconoscere le sfumature e immergersi davvero in un territorio o in una narrazione.
Una delle cose più interessanti di queste storie a mio avviso è il ritratto complesso e vivido del luogo e della sua comunità, non edulcorato. Non si manca, per esempio, di raccontarne le disuguaglianze sociali e razziali, di fare i conti con il passato. Ci sono cose che forse non comprendiamo fino in fondo (il culto dei Packers, la caccia al cervo, la leggenda dell’Hodag, i supper club) ma sono proprio quelle che ci permettono di scoprire la realtà del Wisconsin lontana dagli stereotipi.
[Nickolas Butler] Questo è divertente. Penso che il primo posto che abbia mai visitato in Italia sia stato Ivrea, per il meraviglioso festival del libro - La Grande Invasione. Ho saputo che a Ivrea c'era un festival in cui tutti si lanciavano arance, indossavano costumi, ecc. In Wisconsin non esiste niente del genere! Ma ho trovato l'idea assolutamente incredibile. Mi piacerebbe visitare Ivrea in quel periodo. Spero che questa raccolta faccia sentire i lettori italiani allo stesso modo riguardo al Wisconsin. Quindi non capisci i Green Bay Packers? Ma cosa succederebbe se facessi lo sforzo di guardare una partita in TV? E se ti piacesse? E se un giorno visitassi Lambeau Field e vedessi una partita? Non sarebbe un'esperienza straordinaria forgiata dalla lettura?
A Cattedrale il nostro sguardo è tutto rivolto alla narrativa breve: racconti puri ma anche le diverse forme ibride che negli ultimi anni si vanno sviluppando. Questa antologia già dal titolo pare indicare una certa direzione, una forma ibrida di testi che si collocano tra il saggio e il racconto. Che cosa ne pensi?
[Giulio D’Antona] Penso che il racconto della realtà sia la forma di narrativa che trovo più avvincente e più interessante in questo momento. Per mettere assieme una raccolta sul Wisconsin, per descrivere un luogo in un momento, il fatto di lasciare agli autori la libertà di pescare dal proprio mondo è fondamentale. Tutte le storie raccolte nel nostro libro sono reali, per quanto ne sappiamo. La sfumatura narrativa sta nell’abilità degli scrittori di renderle avvincenti.
In occasione di un’altra nostra chiacchierata ricordo che avevi detto: «Più a lungo scrivo, più cerco di essere invisibile come scrittore». Come si concilia secondo te questo desiderio con la necessita di raccontare qualcosa di personale e quotidiano come in questa raccolta?
[Nickolas Butler] Ho avuto un meraviglioso insegnante di nome James Alan McPherson che spesso consigliava ai suoi studenti: "Fai ciò che è giusto per la storia". Consigli molto basilari, ma assolutamente veri ed edificanti. La maggior parte dei miei guadagni arriva dalla pubblicazione di romanzi. Ma a volte ho un'idea che non va bene per un romanzo. È una poesia o un saggio o un racconto. Se avessi cercato di esercitare la mia volontà su quell'idea, avrei rovinato l'essenza di ciò che mi era stato dato dal mondo: il dono di una bella storia. Quindi penso che l'invisibilità sia una grande virtù in uno scrittore. L'importante è sempre la storia. Sempre la storia. Sono un canale attraverso il quale passano le storie. Anche un grande libro di memorie, penso, non riguarda necessariamente l'individuo, ma piuttosto le storie che hanno informato l'individuo e la comunità. Essere invisibile permette anche allo scrittore di essere un supplicante e una spia. Piuttosto che dimorare costantemente all'interno, uno scrittore invisibile cercherà e ascolterà sempre nuove storie.