Cosa pensavi di fare? di Carlo Mazza Galanti

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di Roberto Galofaro
 

Quale dei due filoni avrà più influenzato Carlo Mazza Galanti nello scrivere Cosa pensavi di fare?, recentemente pubblicato da il Saggiatore?

 

1) Proseguite nella lettura se pensate che sia stata la “letteratura del precariato”, un genere che invase brevemente le librerie e poi finì per essere rimosso in blocco, con qualche picco registrato da Vita precaria e amore eterno (2006) di Mario Desiati o da Il mondo deve sapere (2006) di Michela Murgia e dal film che Virzì ne trasse nel 2008, Tutta la vita davanti, e che fu mainstream, ma anche – mi piace ricordarlo – da Pausa caffè (2004) di Giorgio Falco. Spostato il fuoco decisamente sul piano del lavoro intellettuale, con alterna felicità di argomenti, il tema è passato alla saggistica di recente con Teoria della classe disagiata (2017) di Raffaele Alberto Ventura.

2) Ma proseguite senz’altro la lettura anche se pensate che a ispirare Mazza Galanti siano stati soprattutto i librigame, i romanzi a bivi che spopolarono tra gli adolescenti alla fine degli anni Ottanta e che io, personalmente, ricordo nella collana “Scegli la tua avventura” di Mondadori, con titoli affascinanti come Sopravvivere in mare, La casa del pericolo, Il terzo pianeta da Altair, In pallone sul Sahara, Il sottomarino fantasma e tanti altri, divorati, letti e riletti con la curiosità esplorativa con cui si esegue un esperimento da “piccolo chimico”.

 

Nel finto bivio che ho proposto è racchiusa non solo buona parte dell’ascendenza del libro di Mazza Galanti, ma anche una delle questioni cruciali intorno al librogame, ovvero la sua sostanziale finitudine. Proprio come la vita, il librogame ci pone di fronte a delle decisioni da prendere e però, trattandosi dell’attraversamento letterario di un percorso finito, finiti e determinati (dall’autore) sono anche gli explicit. Il divertimento e la sfida delle possibilità seguono piani previsti e confezionati. Questo è chiaramente messo in mostra in Cosa pensavi di fare? dai diagrammi di flusso posti alla fine dei tre capitoli, che riproducono schematicamente le possibilità di snodo delle vicende. Il meccanismo dell’orologio è esposto, insomma, perché sia chiaro il fatto che ci troviamo nel dominio della logica, non della fantasia.
Ma c’è di più.
Se l’adolescente lettore si lanciava nella lettura compulsiva dei librigame per vivere avventure poliziesche, marinare, fantascientifiche, sempre nuove, sempre diverse, in universi alternativi e scenari esotici vividamente descritti, chi aprisse il libro di Mazza Galanti, fin dal titolo azzeccatissimo, dovrebbe confrontarsi con tutt’altro orizzonte degli eventi.
Il motto normale per un libro del genere dovrebbe essere “Cosa scegli di fare?” (mi si perdonerà se nello scrivere queste note mi è tornata in mente persino un’eco del “Che fare?” leniniano); qui invece, a ribadire il chiuso novero delle possibilità esistenziali esplorate, che non esclude mai il rimpianto, abbiamo “Cosa pensavi di fare?”: ovvero l’impeto della scoperta è stato sostituito da un rovello interiore, per lo più malinconico. Azione e intraprendenza sono state soppiantate da insoddisfazione e sconfitta. Sconfitta, sì: la famosa sconfitta della generazione dei boomer, dei nati tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta. Attenzione, però: nel libro non c’è traccia di un “noi”, che di fatto non esiste nella realtà.
Infatti Mazza Galanti utilizza i topoi dei librigame, e si diverte a utilizzarli, a partire dal ricorso a una seconda persona, inclusiva e coinvolgente, ma la sensazione che si ha è che sempre, sottotraccia, ci sia una prospettiva sociologica: il “tu” che viene influenzato dalle scelte del lettore è sempre contemporaneamente un individuo e una categoria di individui, gli “umanisti sul lastrico” del sottotitolo.

Il libro è suddiviso in tre capitoli, dicevamo: Lavoro, Amore e Vita. Sono quasi le tre voci di un oroscopo – e del resto al principio del libro è riprodotta la stampa di una mappa per interpretare le linee del destino sulla mano. Il primo capitolo si apre con la decisione da prendere sull’università da frequentare: filosofia (intellettualità, improduttività) o medicina (concretezza, utilità sociale)? Il secondo è un’esplorazione delle apparentemente infinite variazioni e deviazioni sentimentali disponibili oggigiorno, con esiti che variano dall’accettazione del poliamore alla fuga nel turismo sessuale. Il terzo è il più libero e il più fantasioso: dai banchi di una scuola privata può portare alternativamente al pestaggio della Diaz di Genova 2001 (pietra miliare dell’educazione civile di chi c’era e di chi l’ha vissuto da lontano, raffigurato eloquentemente da un’intera gabbia tipografica ricoperta da inchiostro nero: fisica rappresentazione di una pagina nera della storia) o a un futuro, raggiunto con una improbabile ma funzionante macchina del tempo, simil-edenico e transumanista.
Qualcuno si riconoscerà in certe frasi apparentemente positive (“Per fortuna o per sfortuna muore una nonna lasciandoti in eredità una frazione della rendita di un trilocale in città”), qualcun altro nelle rapide pennellate che descrivono dei “lavori alimentari”. La mediocrità (ché di questa si tratta) esplorata da Mazza Galanti è estremizzata: se lavori di notte ti trasformi in geek; se resisti all’università sei comunque un fallito; se fatichi per sopravvivere sei un fallito; sei fallito se insegui i tuoi sogni invano o se li abbandoni per “il mercato”.
Sono pagine densissime, in cui la sintesi è bruciante, e in questo Mazza Galanti sa dosare il veleno e il lessico, variare la sintassi, sorprendere con un giro di frase inatteso o stupire con l’accostamento di un luogo comune che rovescia l’emozione veicolata fino a quel momento. Così il brivido di un’ascesa o di una scalata, si ribalta nella vertigine di un salto nel vuoto o nel tonfo di uno schianto.

 

La sera, quando esci a bere con i tuoi amici e colleghi precari dell’università, della scuola, dell’editoria, del giornalismo, del cinema, del design, della fotografia, della televisione, quella disomogenea compagine di intellettuali freelance o parasubordinati delle istituzioni culturali, cacciatori di bandi, coworkers, atipici, artisti e partite iva, quando ti ritrovi con questa gente, con la ex fidanzata, persino in famiglia, ripeti spesso, oltre alla frase «l’Italia è un posto buono solo per andarci in vacanza» (che ti sembra sempre molto icastica), anche «in Italia può crollare tutto, ma gli italiani non smetteranno mai di produrre e consumare cibo di qualità: affonderanno con la pancia piena».

 

Non sono escluse immagini di un compiacimento simile alla felicità, quando il “tu” protagonista riesce a sistemarsi in una nicchia che gli è congeniale. Anche lì, va detto, la felicità scolpita non è a tutto tondo, è piuttosto un bassorilievo in cui – parte ironia, parte amarezza – è sempre evidente l’ombra di una malinconia. L’accomodamento e il compromesso, ovvero in altre parole l’accettare una certa compromissione con la dura realtà: sono questi i confini di un relativo benessere conseguibile. Altro non ne è dato. Accontentarsi di un drink solitario sullo sfondo di un tramonto urbano, oppure contemplare oziosamente i pargoli e gli animali domestici nella quiete stereotipata di una casa di campagna da decrescita felice.
Così nel descrivere l’attesa per la nascita del figlio, si vede chiaramente che la pace non è totale e che sottintende una rinuncia a una parte di sé, per quanto non del tutto razionale:

 

Come fibrillazioni nel liquido amniotico galleggiano le ragioni biochimiche di quest’ottimismo forzato che proprio non ti aspettavi: la memoria selettiva che riesuma solo cose belle,
il sarcasmo che svanisce, le nubi che si diradano.

 

Proprio come i librigame vi ritroverete a tornare indietro per provare un’altra strada, cercando di percorrerle tutte, sorridendo amaramente davanti a un finale diverso ma ugualmente problematico. A rileggerlo come fosse un romanzo o una raccolta di racconti, e garantisco che vi capiterà di farlo, capirete di avere di fronte una sorta di modernissima operetta morale, scritta da un intelligente e sagace Leopardi dei nostri tempi.

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