L'ammutinamento: il racconto terzo classificato al Premio Match Point

Cattedrale è orgogliosa di ospitare i tre vincitori del premio Match Point: la chiamata letteraria per racconti scritti in italiano da autori e autrici residenti nel Regno Unito. Il premio è organizzato dall’associazione londinese Il Circolo con il patrocinio del Consolato Generale d’Italia a Londra e in collaborazione con la scuola Londra Scrive.

Da oggi pubblicheremo i racconti vincitori del premio a partire dal terzo classificato: per presentarlo lasciamo la parola a Daniele Derossi e Paolo Nelli, scrittori, tra i giurati del Premio, che hanno collaborato con l’autore in qualità di editor in vista di questa pubblicazione.
Gli altri racconti vincitori saranno pubblicati nelle prossime settimane.

L’ammutinamento è un racconto breve che riesce nel difficile compito di muoversi nei tempi lunghi e, nel respiro, fa pensare inevitabilmente a Moby Dick. Anche lo stile di scrittura perseguito da Simone Sturniolo tende in quella direzione e ambisce a fare da eco alle grandi avventure di mare. Nella ricerca di terre lontane, nell’ostinazione di dover andare, si nasconde la metafora dell’esistenza e la nave diventa il microcosmo dove sogni e vita e morte sono, per noi che leggiamo, la stessa cosa. Il mare è il protagonista onnipresente eppure quasi invisibile perché è la nebbia a dominare il racconto. Non si sa dove, ma bisogna andare. 

Daniele Derossi e Paolo Nelli

L’AMMUTINAMENTO
di Simone Sturniolo

La nave va anche se il porto è lontano, la nebbia è fitta e il Capitano è cieco. Io sono solo un mozzo e di navigazione so poco, però anch'io mi rendo conto che le cose bene non vanno. Mi sono imbarcato un'eternità fa, con la promessa di lavoro duro, ma paga certa, e una speranza di scappare e vedere il mondo. Ora non ricordo nemmeno più la sensazione della terra sotto i piedi, solo legno che scricchiola e fa su e giù, destra e sinistra, di continuo. La nebbia è calata quasi subito, il vento ci ha lasciati, ma la nave va comunque avanti, trascinata forse da una qualche corrente marina, oppure semplicemente fluttua alla deriva. Il Capitano passa lunghi minuti a prua. Arriccia il naso, dilata le narici, pizzica le labbra spaccate con i denti e fa saettare la lingua tra i peli della barba decorata di sale, poi si gira, ci fissa addosso quelle due orbite nere e vuote e tuona: «Avanti così, ciurma! La rotta è buona!», ogni volta. Per cui, noi si va avanti. La rotta è buona.
Il cibo scarseggia. Ha scarseggiato per molto tempo ormai. La stiva è una caverna, illuminata solo dal bagliore delle lampade a olio, piena di barili per lo più vuoti. Ogni tanto se ne apre uno e ci si trova delle strisce di maiale secco, delle gallette, o se è un giorno fortunato, del rum. Lo svuotiamo, ci riempiamo lo stomaco per qualche ora. Per i crampi c'è sempre tempo. Non sappiamo quanti barili pieni ancora restino, l'inventario non c'è mai stato, o se c'era, è andato perduto. Spesso si sente qualcuno parlare del giorno in cui il cibo finirà:
«Allora sì che cominceranno i guai»; ma è sempre un giorno a venire, chissà quando, come il ritorno di Cristo. Per ora, il cibo dura.
Di acqua ce n'è fin troppa; non parlo del mare, parlo della nebbia. È densa e fredda e si condensa in gocce al contatto con le cose. Non abbiamo più riserve e i marinai hanno preso a leccarla dalle superfici di metallo, o a spremere i vestiti fradici e bere l’acqua che ne cola. A volte bevono la loro stessa urina, ché dispersi in mare è meglio non buttare via niente. E poi ogni tanto c'è il rum.
Il porto, non sappiamo quanto disti. Il Capitano dice che è questione di giorni ormai, ma lo dice da mesi, mesi che sembrano anni. Con questa nebbia anche i più esperti di noi non sanno dove sbattere la testa, figurarsi io che la rotta non l'ho mai fatta. Non si vede un'isola, un punto di riferimento; dal sole capiamo che ci stiamo muovendo verso ovest, ma nulla di più. Nessuno prova a mettere in discussione il Capitano; non ha gli occhi, ma le orecchie gli funzionano benissimo. Basta che il vento gli porti un sussurro di dissenso o scontento perché si finisca legati all'albero maestro a prendere frustate finché il nerbo si porta via la pelle e comincia a scavare solchi nella schiena. A volte guariscono, a volte no; e in quel caso, dopo pochi giorni, abbiamo un marinaio di meno, e gli squali un pasto in più. È un uomo feroce, spietato e sicuro, il Capitano; probabilmente è questa vita che lo ha reso così. Anche l'oceano è feroce, spietato e sicuro.
Quando il Capitano dorme, sotto coperta il malcontento si fa sentire eccome; la ciurma parla, e le parole non sono gentili. Sotto sotto lo pensiamo tutti che questo viaggio è folle, che il cibo finirà, che il Capitano è cieco e che noi si sta andando in bocca ai pesci o dritti all'Inferno. Ma malcontento senza speranza non è ribellione, solo frustrazione, e per lo più noi speranza non ne abbiamo. L'unico veramente diverso è il Secondo. Il Secondo è giovane e ambizioso, sempre il primo sul ponte, sempre l'ultimo in branda. Un ordine pronto sulle labbra in ogni situazione; il Capitano sbuffa e si acciglia quando si sente le parole tolte di bocca, ma alla fine tollera, perché sa che di solito il Secondo ha ragione, e se qualche volta sbaglia, è una buona occasione per sfogarsi dandogli una strigliata. Quando il Capitano è crudele, il Secondo è magnanimo, punisce con mano lieve, e quando c'è il rum divide la sua razione con noi, perché lui non beve in servizio. Poco a poco, ha conquistato le orecchie e i cuori della ciurma. E quando parla, poco a poco, lo si ascolta sempre di più.
«Il Capitano», dice una sera, «è un imbecille, un arrogante, un pazzo. Si crede un favorito del Dio del Mare; l'ho sentito io sussurrare alle onde, dire all'oceano di portarci dove desidera, promettere di dargli in pasto sacrifici umani. Ho provato a consigliargli la rotta, ma è l'unica cosa su cui non mi ascolta per niente. Si infuria, invece; una volta mi ha colpito con un pugno solo per averlo suggerito, e ha minacciato di farmi frustare. Non c'è alternativa, dobbiamo levarcelo di mezzo; è questione di vita o di morte.»
A questo punto solleva lo sguardo e nella sua voce la speranza sostituisce il rancore. «Se vi potessi guidare io - oh, vedreste! La situazione sembra disperata, ma vi assicuro che per un navigatore con le giuste tecniche, con l'esperienza e l'occhio per osservare i segni, questa nebbia è come se non ci fosse. Ne usciremmo in un nonnulla, e poi, oh!, dove potremmo guidare questa nave! Non solo al porto, ma oltre ancora - a commerciare spezie e zucchero in acque calde, ricche di pesci, il sole su di noi, il mare sotto e una vista fino all'orizzonte! Niente più fame, niente più nebbia, gli uragani li eviteremmo con la destrezza e l'astuzia. Il Paradiso, e vi garantisco che avreste tutti la vostra giusta dose di congedo per godervelo al meglio. Lo vedete come lo vedo io? Riuscite a immaginarlo?»
E in quegli occhi castani, al bagliore della lampada, si riflette un breve lampo dorato, e sì, ce le vediamo tutti quelle mitiche spiagge tropicali, lo zucchero, il sole. I nostri cuori induriti dal sale per un momento battono all'unisono. Ci crede, il Secondo, in quelle spiagge assolate, e ci crediamo anche noi. Il nostro fato si decide allora.
Al Paradiso non s'arriva senza prima passare per l'Inferno. L'ammutinamento scoppia quella notte stessa, e nel buio illuminato solo dalle lampade e dai bagliori delle sciabole si consuma un massacro. Io resto in disparte; ci ho creduto anch'io, un poco, a quelle spiagge, ma sono in ultimo un codardo, e non so tirar di spada, quindi mi tengo discretamente indietro. Il Capitano ha ancora un po' di fedelissimi, ufficiali leali ai suoi ordini e marinai convinti che il Secondo ci porterà alla rovina. Alcuni vengono afferrati nelle loro brandine e sgozzati; i loro ultimi gorgoglii si confondono con lo sciabordare delle onde tra cui vengono gettati, ancora vivi. Poi qualcuno si sveglia, grida, organizza una difesa, e la nave intera diventa un campo di battaglia. Io e pochi compagni ci preoccupiamo di spegnere i fuochi che scoppiano ogni volta che qualcuno rovescia una lampada. Teste fracassate, pance sbudellate. Il ponte è coperto da una mistura viscida di acqua e sangue; qualcuno scivola fuoribordo. Non ci sono spade abbastanza e alcuni combattono con quel che trovano. Uno usa una bottiglia spaccata come un pugnale; un altro strangola il nemico con una cima. Il Cuoco ha messo mano a due arpioni, di quelli che usiamo per pescare, e ci infilza gli ammutinati uno dietro l'altro, ridendo come un folle; ci vogliono quattro uomini che gli saltano addosso per disarmarlo e finirlo, e dei quattro, uno ci rimette il naso e un altro tre dita.
Alla fine, i leali sono tutti morti, resta solo il Capitano che sfodera la sciabola dalla guardia d'oro, regalo si dice dell'Ammiraglio in persona. Qualcuno ride all'idea di un cieco che tira di scherma; quando uno degli ammutinati si avvicina con un coltello e viene squartato dalla testa ai piedi in un sol fendente le risate si fermano.
«Fatevi sotto, cani traditori!» latra il Capitano, agitando la spada per liberarla dal sangue. «Fatevi sotto, se tra voi c'è un solo uomo!»
Tra gli ammutinati si leva un mormorio, non dovrebbe essere difficile disarmarlo, di sicuro quel fendente è stato solo un colpo di fortuna, ma chi vuole farsi avanti? A ogni momento che passa, la paralisi è più ignominiosa. Sono in tanti, contro un solo uomo, vecchio e cieco. E allora perché non attaccare? Ma se è così facile vincere, perché scomodarsi? Ci penserà qualcun altro, di sicuro. E così esitano, e il Capitano ride della loro codardia.
Il Secondo emerge da sottocoperta, la sua spada è insanguinata.
«Fatevi da parte,» dice ai suoi seguaci, «a lui ci penso io.»
«Non un uomo», ghigna il Capitano, «ma almeno un mezz'uomo.»
Le spade cozzano e risuonano per tutta la nave. Il Secondo e il Capitano duellano, fendente per fendente, parata per parata; fingono, saltano e roteano le lame da combattenti esperti. Il Capitano è come se vedesse, sa quando schivare, quando parare e quando affondare. Quelle orbite cavernose che tanto spesso fissava sulla nebbia sono puntate dritte sul suo avversario, e dentro ho l'impressione che ci brilli qualcosa. Un fuoco notturno e maledetto.
«Muori!» grida il Capitano, e picchia giù con la spada, avendo spinto il Secondo con le spalle al parapetto. «Muori, muori, disgraziato! Nettuno ti porti via!»
Il Secondo non ha tempo per contrattaccare, ma se si lascia spingere più di così, finisce in mare di sicuro. In una mossa disperata, si accovaccia e rotola sul pavimento. La sciabola del Capitano si conficca nel parapetto; l'istante che gli ci vuole per estrarla è fatale. Le spade saettano allo stesso istante; il Capitano tira un fendente di lato e già la spada del Secondo è affondata nel suo ventre, già sangue e vita scorrono via, e un momento dopo, il Capitano si affloscia, l’arma gli cade di mano, il corpo si ribalta e piomba nell'oceano, ultimo tributo ai suoi oscuri dèi.
Il Secondo si accascia a sua volta, quell'ultimo fendente ha raggiunto il segno e il suo viso è coperto di sangue. Corriamo a soccorrerlo, il Chirurgo lava la ferita, la esamina, scuote la testa.
«Vivrà?» chiediamo tutti.
«Vivrà,» conferma il Chirurgo. «Se sarà forte abbastanza. Ma per gli occhi, niente da fare.»
E mostra la ferita a tutti. Il fendente ha lacerato la faccia del Secondo in una linea orizzontale, ha lasciato una profonda tacca nell'osso del naso, e due bulbi insanguinati e lacerati dove c’era stato oro.
Il Secondo respira affannato e tra il dolore trova lo spazio per un sorriso beffardo. «Non importa,» dice, «non mi servono gli occhi per trovare la rotta!». Gli altri ridono, rincuorati.
Ci vuole qualche giorno perché il Secondo emerga dalla sua cabina, la ferita degli occhi fasciata, la febbre finalmente scesa. Si muove esitante, tastando la nuova oscurità a ogni passo. Un marinaio corre a offrirgli la spalla; lui la stringe con una mano avida e si fa guidare. È il Capitano, adesso.

La nave è ancora dispersa nella nebbia, ancora trascinata dalle correnti, ma presto lui ce ne tirerà fuori, ripetiamo tutti, appena sarà guarito.
Il Capitano è diventato più irascibile negli ultimi giorni, certamente per colpa della ferita, del dolore, della responsabilità. Per i sogni non ha più né il tempo né l’umore. Ma a vederlo adesso, ritto a prua, che annusa l'aria, che fa saettare la lingua per tastare gli spruzzi di sale tra due labbra su cui comincia ad accumularsi un'ombra di barba mal rasata, si deve credere che sappia quel che fa.
«Avanti così!» tuona. «La rotta è buona!»
Avanti così, dunque. La rotta è buona. Alla fine del viaggio ci aspetta il sole. Per ora, il porto è lontano, la nebbia è fitta, e il Capitano è cieco. La nave va.