Il racconto come dispositivo di osservazione

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di Matteo Moca

Come i manuali di narratologia insegnano, il racconto è un componimento narrativo breve formalmente pensato per una lettura ininterrotta e dedicato a un'unica vicenda. Inutile dire quanto provare a circoscrivere con precisione la natura teorica del racconto possa portare a definizioni lacunose, chiaro specchio di una complicazione più generale, quella del concetto di letteratura. Percorrere questo itinerario è chiaramente fuori dalla portata di questo articolo, ma un paio di punti possono ugualmente essere messi in luce, senza nessun desiderio di completezza, perché le forme letterarie sono specchio dei diversi movimenti della letteratura che a sua volta si muove assecondando i cambiamenti della società. Provare quindi a seguire questi cambiamenti e confrontarne gli elementi centrali con i dispositivi letterari può essere una via per immaginare una risposta un po' meno evasiva al rapporto tra forme e contenuti.
Tra i lettori più attenti riguardo a come si muove la contemporaneità e quali sono i suoi vizi e le sue caratteristiche più importanti, un posto d'eccezione spetta sicuramente a Mark Fisher. Il critico, morto suicida nel gennaio del 2017, ha un'influenza decisiva in molti ambiti culturali, come d'altronde dimostra anche il suo interesse per mezzi espressivi diversi come la letteratura, il cinema, la televisione e la musica. E se, come accade spesso in questi casi, capita che si citino autori senza averli letti limitandosi a saccheggiare poche frasi dall'usura semplice («è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo» sembra essere il riferimento più importante di Realismo capitalista), ancor più spesso può succedere che costrutti teorici dall'indubitabile importanza finiscano per essere strattonati per calzare a pennello sulle letture più disparate. Il rischio ovviamente è presente anche per Fisher, in particolare per una sua definizione che risulta in effetti appropriata per il tempo che viviamo, quella di weird (The Weird and the Eerie: Lo strano e l'inquietante nel mondo contemporaneo, minimum fax con la traduzione di Vincenzo Perna) che rimanda alla mente quella di “unheimliche” di matrice freudiana (interessante, tra l'altro, che la spiegazione freudiana prenda le mosse proprio da un racconto, L'uomo di sabbia di E.T.A. Hoffmann). La definizione di Fisher è un'etichetta appropriata in molti contesti e in effetti la sua abilità teorica sta proprio nell'identificare dei grandi sommovimenti nella società contemporanea e dare a questi una forma e una definizione. Nell'introduzione al volume dedicato al weird, Fisher lo definisce come qualcosa che ha «a che vedere con l’attrazione per l’esterno, per ciò che sta al di là della percezione, della conoscenza e dell’esperienza comune», un'attrazione che comporta solitamente «una certa dose d’inquietudine, magari anche timore» perché ciò che si nasconde fuori non è sempre qualcosa di benevolo, anzi, «l’esterno ci mette a disposizione un’abbondante dose di terrori», anche se poi Fisher continua insistendo sul fatto che i terrori non esauriscono ciò che c'è da dire sull'esterno. Eppure l'impressione è che il terrore messo a disposizione dall'esterno rappresenti un'attrattiva importante per la narrativa contemporanea e così ci ricolleghiamo a quello che si diceva prima rispetto al rapporto tra letteratura e luoghi di discussione della società contemporanea. Se si restringe lo sguardo, accontentandosi di una campionatura più ristretta, l'unica possibile in questo frangente, si potrà notare come la narrativa breve si prenda volentieri in carico il racconto di questo esterno inquietante, che prende forme ovviamente molto diverse, ma riconducibili a una sorgente comune che ha molto a che fare anche con «l'interno» fisheriano.


Possono essere molti gli esempi, a conferma della pervasività del tema, ma un buon punto di inizio può essere una raccolta di racconti di David Peace, scrittore inglese tra l'altro letto e commentato anche da Mark Fisher che confrontando la sua straordinaria epopea romanzesca Red Riding Quartet e il romanzo GB84 con la sua idea di realismo capitalista scrive di come una delle differenze tra queste opere sta nel passaggio «from religion and theodicy (there must be a God to make good all that suffering, all those atrocities)» del primo «to politics (there must be a better way to live than this)» del secondo. La sua raccolta Fantasma (Il Saggiatore) sembra appartenere più al primo tipo, immersa com'è in un soprannaturale spaventoso, ma è interessante anche per il gioco letterario che sottende i vari racconti perché protagonista è il fantasma dello scrittore Rynosuke Akutagawa, padre della narrativa breve giapponese moderna, definito da Peace un raccoglitore di storie, storie anche antiche che vengono poi reinterpretate in chiave moderna. A Peace qui interessa, attraverso la descrizione di azioni operate da un qualcosa che è al di là della percezione ed è legato all'arte del narrare, proseguire sulla strada del racconto della fine della modernità verso il paludoso e deludente presente ma, a differenza dei suoi romanzi, lo fa con storie brevi attraversate da fantasmi: «Ho scritto bugie come se fossero vere e la verità come se fossero bugie, e ci ho sempre creduto» si trova scritto nella Supplica di Red Riding Quartet, quale dunque lo statuto di questi racconti se non il tentativo di raccontare attraverso lo strano, esterno alla percezione ma nello stesso tempo afferente al reale, ciò che abita i nostri giorni?
Rintracciare queste atmosfere nella narrativa breve apre a un gruppo di scritture numerose e diverse, come per esempio i racconti di Shirley Jackson pubblicati recentemente da Adelphi con il titolo La luna di miele di Mrs Smith. In questa raccolta, composta da racconti editi e inediti, dove si ritrovano matrici e temi che caratterizzano la scrittura di Jackson e nutrono opere come La lotteria o L'incubo di Hill House, mi pare interessante il fatto che lo strano e l'inconsueto appaiano anche in racconti non direttamente riferibili alla temperatura di quelle narrazioni, come testimonia bene il racconto che dà il nome alla raccolta, presente in due versioni differenti: Jackson sembra suggerire che per trovare il mostruoso e l'orrore non serve andare troppo fuori dal mondo percepito, unendo così in un unico polo la distinzione di Fisher tra esterno e interno spaventoso, perché il soprannaturale può essere già dentro il reale e pure il lettore lo può riconoscere nella vicenda se si impegna nel riempimento dei non detti e dei risvolti impliciti, operazione non difficile, e qui sta uno dei nuclei di questo discorso, perché riempire questi vuoti vuol dire semplicemente far riferimento all'esperienza individuale all'interno della società contemporanea.
E se, come scrive Fisher, questi elementi esterni dalla realtà non per forza devono essere terrificanti ma possono anche essere aspetti che creano un semplice disordine rispetto alla normalità, una sorta di confusione ermeneutica, possiamo inserire in questa nobile, inclusiva e tremolante linea anche la recente raccolta di Alfredo Zucchi La memoria dell'uguale (Alessandro Polidoro Editore), dove vengono messi in gioco temi che vanno proprio a erodere le classiche coordinate della percezione, sfidando, attraverso il mezzo letterario, il reale. Infatti i protagonisti di ognuno dei racconti, avvolti in un andamento narrativo e teorico che ricorda le Finzioni di Borges, sono testimoni di una messa in discussione dello statuto di realtà: Zucchi prova a immaginare che il mondo che noi ci troviamo ad abitare rappresenti solo una delle possibili combinazioni di spazio e tempo: se le cose stanno così, vuol dire che esiste in un mondo già dallo statuto incerto una serie di possibilità che rimangono escluse e queste Zucchi prova a immaginare. Anche in questo caso i racconti non perdono mai il contatto con la realtà, muovendosi invece sulle complesse linee che ne segnano i confini: ancora un incontro tra dentro e fuori, tra il mondo come lo conosciamo e un altro che pare mostrare solo alcuni spiragli che la narrativa breve, come in questo caso, volentieri prova a riempire.
Danilo Soscia nelle sue raccolte di racconti pare interessato proprio a indagare questi fantasmi che gravitano attorno al reale attraverso una via peculiare ed estremamente interessante incentrata sulle biografie. In Atlante delle meraviglie (minimum fax) per esempio Soscia ricostruisce delle biografie infedeli, ancora sembra essere Borges il nume tutelare, di personaggi vari e straordinari come Teseo, Gesù, Rimbaud, Marco Polo, Gramsci, ma immaginando personaggi oscuri che intrecciano le loro vite, falsi e reali nello stesso tempo, agenti di un mondo ucronico che però non si distacca poi così tanto da quello che siamo abituati a vedere. Anche in Gli dei notturni. Vite sognate del ventesimo secolo (sempre minimum fax), Soscia si cimenta in narrazioni incentrate su donne e uomini celebri come Aldo Moro o Marilyn Monroe, Saddam Hussein o Mario Schifano, Tommaso Landolfi o Anna Magnani, ma utilizzando un'angolatura straordinaria, quella del sogno, mettendo in scena nei brevi racconti della raccolta gli universi onirici di questi personaggi. In entrambi questi casi, dove ancora una volta la scrittura si nutre dei non detti e di aspetti conturbanti, la narrazione breve sembra essere lo strumento migliore per dispiegare la forza narrativa: le «ipnografie» che compongono Gli dei notturni assumono un valore proprio nel loro affiancarsi, nel loro costruire una galleria oscura, modo per dare a una materia frammentaria, come quella del sogno e della nostra percezione imperfetta del reale, un forma più organica.
Alla fine di questa rassegna certamente incompleta (e, tra gli altri, si possono inserire per restare tra le traduzioni recenti in italiano, L'ospite e altri racconti di Amparo Dàvila pubblicato da Safarà o i grotteschi racconti di Viscere di Amelia Gray per Pidgin) emerge in ogni caso come l'interesse per i fantasmi e per il weird, in maniera imprecisa traducibile come lo strano o l'inquietante, rischiando comunque di perdere un po' del connotato astratto della definizione, attraversi la narrativa breve contemporanea. Certo rimane una domanda, a cui è complicato rispondere, riguardante la ricezione del grande pubblico di questi temi: se infatti, come si è provato a dimostrare, questo tema si inserisce in pieno nelle pieghe della società contemporanea, nei vizi e nelle storture visibili attraverso un'osservazione puntuale della quotidianità, le narrazioni che seguono questa strada complessa sembrano non aver ancora trovato un pubblico ampio interessato, se non in rari casi come quello di Shirley Jackson, anche se rimane indubbia l'attenzione critica: non è poco e può essere certamente un primo passo per veicolarne i contenuti.