Gotico londinese, di Nicholas Royle

Titolo: Gotico londinese
Autore: Nicholas Royle
Editore: 8tto edizioni. Traduzione: Cristina Cigognini
pp. 240 Euro 18,00

di Debora Lambruschini

Che cos’è reale? Che cosa non lo è? È intorno a questo nucleo che si muovono i racconti di Gotico londinese, dello scrittore ed editor inglese Nicholas Royle, tra «i maggiori esperti britannici della narrativa breve», tradotti da Cristina Cigognini per 8tto edizioni. Quindici racconti esemplari, che compongono una raccolta organica per tematiche e spunti, ambientati nella capitale inglese dagli anni 2000 a oggi, in cui l’ordinario, il quotidiano, è incrinato dall’elemento perturbante che attraversa ogni storia, pronto a deflagrare. Il richiamo alla tradizione gotica è evidente fin dal titolo – che traduce esattamente l’originale, London gothic – segnale di un’influenza mai venuta meno, mutata nel tempo per istanze e modalità narrative ma sempre adatta a raccontare il presente, le sue contraddizioni, i lati più oscuri e problematici. A lungo considerato letteratura meramente popolare che nulla aveva a che spartire con il novel e snobbato dalla critica, è stato dagli anni Settanta del Novecento che il gotico entra invece nel discorso critico, grazie soprattutto alle ricerche del bulgaro Todorov che per primo ne rivendicava una funzione psicanalitica, mezzo ideale per esorcizzare le paure della società entro cui il genere si sviluppa. E pochi generi invero riescono al pari del gotico a raccontare i turbamenti del contemporaneo, riflettere ansie e paure dell’essere umano, accogliere le istanze più problematiche della società, affrontare argomenti scomodi e intrecciarsi a riflessioni, per esempio, su femminile e patriarcato, tecnologia, scienza, fede, malattia mentale… L’influenza del gotico affonda le radici nel Settecento inglese (la sua fondazione si fa generalmente coincidere con la pubblicazione del romanzo The Castle of Otranto, di Horace Walpole, nel 1764, non a caso in pieno Illuminismo) e arriva dunque fino al contemporaneo, in testi che ne riprendono atmosfere, personaggi, istanze, scegliendo di volta in volta chiavi di lettura differenti. Ciò che del gotico affascina critica e lettori contemporanei è proprio la sua natura mutevole, che attraversa mode e correnti letterarie rinnovando atmosfere e sollecitazioni delle origini; materia viva, insomma, che in mani esperte può portare a esiti particolarmente interessanti e riusciti, come dimostrato dai racconti di Royle che si muovono in un contesto letterario codificato reinterpretandolo. In Gotico londinese l’autore concentra la propria attenzione sullo spazio urbano e sul perturbante che irrompe a scardinare l’ordine del quotidiano, mettendo in discussione tutto ciò che consideriamo reale, confondendo i confini di forma come quelli tra bene e male, giusto e sbagliato, realtà e incubo. Una raccolta sperimentale, organica nelle occorrenze tematiche e nel setting generale ma polifonica e particolarmente interessante nell’uso peculiare dei mezzi narrativi, del punto di vista mutevole – anche all’interno di una singola storia – , dei diversi registri espressivi, dei piani narrativi, delle influenze di altre forme espressive, dall’arte al cinema alla scrittura professionale. Molteplici, quindi, le chiavi di lettura per addentrarsi in queste storie, in cui riconoscibili alcuni temi e spunti comuni: l’altrove, la riflessione sul tempo – o meglio, sulle «scollature» nel tempo – , l’ossessione, l’incubo, la domesticità quale luogo principale del perturbante, il mistero delle relazioni, la pornografia della violenza, le relazioni. La materia è viva, plasmata dalla lingua che di volta in volta sceglie la forma più idonea a raccontare la storia, ad avvicinare il lettore giocando sull’empatia che sa creare, per poi deflagrare in una violenza annunciata da piccoli dettagli.
Emblematico il racconto d’apertura, “Benvenuti”:

 

Ciao! Benvenuti nella vostra nuova casa! La porta d’ingresso si inceppa un po’. Mi spiace. Tiratela verso di voi prima di provare ad aprirla. Dovrebbe funzionare. Vi abbiamo lasciato una bottiglia di vino – speriamo che vi piaccia il rosso! – e una pianta grassa portafortuna. Datele da bere di tanto in tanto (non il vino!), ma non esagerate. Non fatela morire! (“Benvenuti”, incipit, p. 11)

 

Scritto come un biglietto di benvenuto ai nuovi proprietari di casa, il tono ironico e la leggerezza dell’atmosfera muta presto in qualcosa di altro, di ben diverso, a partire dall’accenno, quasi casuale, a una macchia di sangue nell’ingresso. Proprio lì, sulla soglia della casa, sulla soglia della storia – sulla soglia della raccolta tutta, in effetti – , i nostri sensi si mettono in allerta, avvertono il mutare dell’atmosfera. Cogliamo gli indizi di un mistero che non sarà mai pienamente svelato ma i cui macabri contorni ci appaiono piuttosto chiari. O, almeno, così pare, come sarà spesso in questa raccolta, dove è il nostro stesso sguardo di lettori, una certa direzione che decidiamo di dargli, a fornire una precisa interpretazione delle cose, del tono della narrazione laddove i confini sono sbiaditi e lo svelamento solo parziale. Sarà il richiamo al gotico ben impresso già nel titolo, saranno gli indizi, certe atmosfere, le ossessioni di taluni personaggi, l’abilità con cui Royle dice e non dice, ma i nostri sensi sono tutti votati a una determinata interpretazione.
Ma Gotico londinese è anche una raccolta di architetture, di strade, di luoghi, di passeggiate per una Londra multiforme, nascosta, gotica appunto, innesco di un progetto narrativo che parte dalla capitale inglese per poi attraversare anche Manchester e Parigi, altre città in cui Royle ha vissuto.
Narratore abile, soprattutto quando si misura con l’ambiguità, con il dettaglio. Come nel racconto “L ONDON”, volutamente staccato, dove i preparativi per il matrimonio si scontrano con il numero degli invitati: «dobbiamo togliere due nomi dall’elenco». Nulla di più normale. Nulla di più ambiguo. La violenza resta come sempre in questi racconti fuori scena, il mistero non svelato, ma sentiamo, sappiamo, che qualcosa è accaduto e per tutto il racconto ci chiediamo come siano andate davvero le cose e chi altri è consapevole di quella verità celata.
Le cose quasi mai sono quello che appaiono, specie in racconti come questi, dove perfino il tempo è mutevole, materia da plasmare, soggetta a «scollature che generano scenari diversi, turbamenti, e dove i contorni del reale e della fantasia si annullano l’uno nell’altra:

 

Mentre indietreggia dalla scena dell’omicidio, e le immagini dello scontro con l’uomo alto dal cappotto scuro con la macchia chiara sul fondo le scorrono di nuovo in testa, Sarah rovista in cerca del telefono. Chiama Tim, ripassando per la sala dei lavorati in ferro, ma parte in automatico la segreteria. Vuole raccontargli dell’uomo alto, il sosia di Eberlin, come se avesse bisogno di essere rassicurata di non essersi persa in una fantasia creata da lei. (“Scollature nel tempo”, p. 140)

 

Fantasia, realtà, concretezza, sogno, si confondono nei racconti di Royle, l’eco della tradizione su cui si posano, i richiami letterari, storie come scatole cinesi: le istanze del gotico, dunque, ma anche una certa brutalità di Flannery O’Connor, le ambiguità di Shirley Jackson, il perturbante domestico di Samantha Schweblin, le alienazioni di Patricia Highsmith. Echi diversi, simile presa salda sulla parola che dà forma al mondo. In questo intreccio si inserisce la riflessione sulla scrittura e la rappresentazione di uno spaccato di mondo ben noto all’autore, editor di lungo corso. Nulla di più adatto della scrittura, dell’invenzione letteraria e del mistero che porta con sé, per raccontare l’ambiguità, la parzialità del punto di vista, la mutevolezza dell’interpretazione, come in “L0nd0n”, che è anche un’interessante riflessione sul ruolo dello scrittore, sul confine tra realtà e invenzione, autore e opera.
Royle e i suoi narratori sono ambigui, inaffidabili, tra svelamento e sottintesi lasciano un certo grado di segreto, il dubbio su quale sia il confine tra verità e menzogna, colpa e innocenza. È in questa ambiguità che si innesca la storia, in queste distanze dal reale che il gotico trova forme e modi nuovi. È lì, tra quelle pieghe, che guardiamo chiedendoci quanto di quel mistero sia possibile svelare, quanto della realtà ci è davvero conoscibile, dove si sconfina nell’ossessione. E dove la realtà è molteplice, le istanze del gotico ancora profondamente perturbanti.