Nel paese delle donne selvagge, di Matsuda Aoko

Autore: Matsuda Aoko
Titolo: Sacrifici umani
Editore: Fazi
Traduzione: Gianluca Coci
pp. 240 Euro 17,00

Di Debora Lambruschini

 

Negli ultimi anni ho avuto il piacere di dialogare in diverse occasioni con Antonietta Pastore, scrittrice e traduttrice dal giapponese, profonda conoscitrice della cultura nipponica e persona gentilissima e generosa, da cui ho sempre imparato molto. Di recente ci siamo confrontate sull’ultima antologia da lei curata (Racconti del Giappone, Einaudi, qui l’intervista completa) e, fra le molte riflessioni interessanti, una mi è tornata in mente proprio durante la lettura dei racconti di Matsuda Aoko, Nel paese delle donne selvagge, in libreria per E/O: sottolineava Pastore come la cultura giapponese sia particolarmente fraintesa, specie nei suoi due elementi più simbolici – la geisha e il samurai – e di quanto la letteratura offra una chiave di interpretazione fondamentale:

Noto due modi di fraintendere la cultura giapponese. Uno consiste nel vederne solo i due aspetti stereotipati e contrastanti – da una parte il mito del samurai (coraggio, violenza), dall’altra quello della geisha e dei fiori di ciliegio (grazia, delicatezza) – che i media continuano tutt’oggi a rafforzare. Un altro fraintendimento è l’idea che i giapponesi siano persone fredde e anaffettive, un’impressione generata dal loro comportamento spesso rigido, da una facciata di impeccabile cortesia aldilà della quale è difficile intuire cosa si nasconda. Quando però si riesce a oltrepassare questa barriera, si capisce che in realtà i giapponesi sono molto sentimentali e partecipi della sofferenza altrui, e inoltre che sono persone capaci di grandi passioni – passioni che spesso sono costretti a soffocare per rispettare le convenzioni sociali. La letteratura aiuta a comprendere questi sentimenti profondi che spesso restano celati nel loro animo. Per fare un esempio, la scoperta dei grandi autori giapponesi – Natsume Sōseki, Taniguchi, Kawabata... – mi ha permesso di aprire una porta che senza la lettura sarebbe probabilmente rimasta chiusa. Dove avrebbero potuto trovare, mi sono chiesta, questi autori, tutte le emozioni e le passioni che mettevano in scena nelle loro opere, se non le avessero provate personalmente, se non le avessero constatate e riconosciute in altre persone?

Ho ripensato molto a quest’idea, a come la letteratura possa scardinare stereotipi e fraintendimenti, alla fascinazione verso una cultura di cui ne sfioriamo appena la superficie e i misteri che non potremo del tutto svelare; alla sovrapposizione nel nostro immaginario di una realtà fissata in un non meglio specificato passato, ma che si discosta dal mondo contemporaneo, dalle sue complessità e contraddizioni; alle contaminazioni, all’equilibrio fra tradizione e contemporaneità. E, come sottolineava Pastore, ho cercato una chiave di accesso affidandomi alla letteratura, alle sue voci contemporanee, nel tentativo di scalfire quella conoscenza di superficie, penetrarne il mistero. Matsuda Aoko è tra le autrici odierne più interessanti e apprezzate anche fuori dai confini nazionali, scrittrice e traduttrice i cui racconti hanno vinto o sono stati segnalati per prestigiosi premi, in Giappone e nel mondo anglosassone, e nel 2020 la raccolta Nel paese delle donne selvagge è stata inserita da Time nella lista dei dieci migliori libri di fiction dell’anno. Di recente è approdata nelle librerie italiane grazie alle edizioni E/O, nella puntuale traduzione dal giapponese a cura di Gianluca Coci, ad aggiungere un tassello molto importante nella delineazione del canone nipponico contemporaneo. A Coci senza dubbio il merito di aver maneggiato tanto abilmente un testo coeso, denso di rimandi interni e differenti registri e disseminando opportunamente qui e là alcuni termini ed espressioni lasciati in lingua originale – con rimando al sintetico glossario in appendice – che non appesantiscono affatto la narrazione ma, anzi, ne esaltano le atmosfere, allo stesso modo con cui non indugia troppo di frequente nelle note a piè di pagina. Di fronte a testi di questo genere credo dobbiamo accettare il mistero, quella parte della narrazione che non ci sarà mai pienamente svelata a meno di trasformarla in un’opera didascalica e rovinarne quindi la fruizione.
Matsuda Aoko compone quindi una raccolta molto compatta, in cui si rincorrono diversi intrecci narrativi, tesa fra tradizione e contemporaneità: elementi del folklore e della tradizione popolare giapponese sono lo spunto da cui l’autrice rielabora storie calate nel mondo attuale, in perfetto equilibrio, e che si aprono a ulteriori spunti e chiavi di lettura dati dalle complessità del contemporaneo. Alla realtà tangibile e ben nota, si intreccia il sovrannaturale, spesso nella forma degli yōkai, creature che assumono diverse sembianze, fantasmi, “mostri”, il cui ruolo è quantomai centrale negli sviluppi narrativi, nella definizione dei personaggi. Non esiste un confine netto tra realtà e sovrannaturale, un mondo si riversa nell’altro e a uno sguardo attento i vivi sono spesso consapevoli della presenza di questi “fantasmi”. Un confine labile o pressoché inesistente, al punto tale che all’interno della misteriosa fabbrica di incensi intorno a cui tutto ruota, esseri viventi e fantasmi lavorano fianco a fianco, i primi non sempre consapevoli della presenza degli altri ma consci del mistero che aleggia intorno a loro.
In narrazioni dal registro mutevole, in cui ironia e dramma si alternano spesso all’interno di uno stesso racconto, Matsuda Aoko tratteggia un mondo in cui quasi mai le cose sono quello che appaiono, il punto di vista e l’uso privilegiato della prima persona capace di ammaliare il lettore e condurlo alla sorpresa dello svelamento, inseguendo un racconto via l’altro. Storie autonome e autoconclusive, che nell’insieme rivelano tuttavia un quadro più complesso, la stratificazione di spunti e riflessioni con cui confrontarsi dentro e fuori la pagina.

Per mezzo dell’ironia, Matsuda Aoko compone una personale critica alla società patriarcale e a certe derive del capitalismo, tratteggiando problematiche come gli stereotipi di genere, le discriminazioni sul piano professionale, il ruolo delle donne nella società, che riecheggiano dal contemporaneo ad ambientazioni storiche: ne emerge un profondo desiderio di autodeterminazione dei personaggi femminili che ben si sposa con narrazioni concentrate sul cambiamento o, per meglio dire, sulla sua presa di consapevolezza, di cui forse non vedremo gli effetti compiuti ma ne intuiamo chiaramente la direzione e il potenziale. Le donne di questi racconti, dalla proprietaria di un piccolo negozio di complementi d’arredo, la giovane calligrafa, la moglie preda di una furiosa gelosia, al fantasma di una dama dell’epoca Edo o della custode di un castello, si confrontano con i limiti imposti dalla società patriarcale e una lunghissima tradizione di privilegi maschili. Che siano canoni estetici – come nel racconto d’apertura, “Farsi belle”, in cui la protagonista ossessionata dal desiderio di un corpo glabro si risveglia una mattina ricoperta di un pelo nero foltissimo e abbraccia la sua parte selvaggia, la nuova identità – , modelli di comportamento – il tanto stereotipato ruolo della moglie e madre silenziosa, assertiva, attenta – o scarti di opportunità professionali tra uomini e donne, è chiaro in quale direzione punti lo sguardo di Matsuda Aoko:

 

In teoria il testo [la legge sulle pari opportunità sul lavoro] affermava che bisognava garantire lo stesso trattamento e uguali possibilità a uomini e donne in ambito lavorativo, senza distinzioni di sorta. Ma all’atto pratico si trattava solo di un mucchio di vuote promesse. Di tanto in tanto alcune colleghe di Kuzuha osavano lamentarsi della situazione, ma sottovoce e soprattutto nel silenzio degli spogliatoi o di luoghi simili, quando erano sicure di non essere ascoltate dai colleghi maschi e dai superiori.
(“Vita di Kuzuha”, p. 114)

La critica sociale si realizza nell’ironia e in una sorta di pacata consapevolezza:

 

Scommetto che sei sorpreso, non è vero?, avrebbe voluto dirgli Kuzuha. Avevi immaginato qualcosa di molto diverso, ti avevano raccontato tutt’altro eh? Ma purtroppo oggi è così che va il mondo, e pensa che noi donne quel dannato soffitto [di cristallo] ce l’abbiamo sopra la testa da sempre e lo vediamo fin da quando siamo bambine, in ogni momento della nostra esistenza. Però in qualche modo abbiamo imparato a conviverci, e dovrai fare lo stesso anche tu.
(“Vita di Kuzuha”, p. 122)

 

Consapevolezza che non significa sottomessa accettazione ma, in molti casi, apre alla solidarietà, a un sottile ottimismo di fondo, all’aiuto più o meno esplicito tra donne, che siano esseri viventi o yōkai. Sono, per esempio, creature che instancabilmente difendono le donne in difficoltà, “fantasmi dei bimbi” che silenziosamente accorrono in soccorso di madri single preda del pregiudizio e della solitudine, ma anche, in direzione inversa, donne che intrecciano legami di intima amicizia e protezione con fantasmi vittime di morti violente, spesso per mano degli uomini o in qualche modo a essi collegate, o che chiariscono lo scopo della loro nuova esistenza da non vivi.

 

Continuava a fissare il nulla, come se vagasse disperata nei meandri della sua memoria nel tentativo di individuare il momento preciso in cui aveva intrapreso la strada sbagliata e il punto da cui, se mai fosse stato possibile, avrebbe voluto ricominciare.
(“Farsi belle”, p. 19)

 

E il cambiamento è il punto focale di queste storie, che sia la scoperta di sé stesse e dei propri desideri, l’autodeterminazione finalmente libere da stereotipi e ruoli prestabiliti, poco conta se ciò avvenga in vita oppure dopo:

 

Era come se tutte le ansie e le paure che mi avevano tormentata fossero scivolate via dal mio corpo in un solo attimo. La gente crede che i fantasmi siano sempre pieni di astio e risentimento, ma si tratta di un luogo comune. A dire il vero ero molto più rancorosa e arrabbiata quando ero viva che non adesso.
(“Ora sì che è uno spasso!”, p. 179)

 

Matsuda Aoko con questi racconti aggiunge un tassello importante nella costruzione di un rinnovato immaginario culturale e, come sosteneva appunto Pastore, attraverso la letteratura spalancare porte su un mondo complesso, ricco di fascino, stratificato, liberandoci da stereotipi e fraintendimenti.