di Marina Bisogno
Ludmila Ulitskaya, scrittrice russa tradotta in tutto il mondo, è nota soprattutto per i suoi romanzi. Una storia russa, ad esempio, si incastra bene nella tradizione della letteratura degli Urali: un testo denso, ambizioso, che ripercorre cinquant’anni della società sovietica attraverso le esistenze dei personaggi che provano a sfuggire alle limitazioni del KGB. La Nave di Teseo propone invece la Ulitskaya come autrice di racconti e pubblica con la traduzione di Margherita De Michiel Tra corpo e anima, una raccolta che ha al centro soprattutto personaggi femminili. Questa attenzione da parte di Ludmila Ulitskaya, non solo come stato esistenziale ma anche come ricettacolo di discriminazioni e soprusi, è nota. Nel 2011 la Francia le consegna il premio Simone de Beauvoir riconoscendole un lavoro di esplorazione sui diritti e sulla condizione delle donne. I suoi testi sono definiti politici e lo sono nella misura in cui ci consegnano una visione dello stare al mondo che assomiglia a un impegno, come faceva Grace Paley, sebbene la lingua delle due scrittrici sia differente. Ludmila Ulitskaya non conosce il minimalismo, la sua scrittura ha una componente arcaica, un che di antico che rende le sue frasi inestricabili, per niente scivolose. C’è una solennità in questi racconti che li allontana dalla sfera della finzione più pura per avvicinarli alla verità delle favole esopiche, con ragionamenti su vita vissuta e tanto di insegnamento. Succede nel racconto Alice acquista la morte: Alisa, la protagonista, rifugge l’innamoramento per non finire come sua madre, con il cuore a pezzi per un uomo e suicida sotto un treno nello stile di Anna Karenina. Alisa è una perfezionista, finché ha un malore. Si convince di avere i giorni contati e si organizza per evitare sofferenze, tenendo a portata di mano alcuni dosi di sonnifero. Contro ogni previsione, a sessant’anni suonati si innamora e si sposa, ma offusca la gioia dell’amore con la certezza di dover morire a breve. Poi, avviene un fatto che le dimostra che nulla può essere dato per scontato e che l’esistenza ha più fantasia di noi.
“La paura di cadere sotto il potere altrui era più forte di ogni altro femminile timore: di restare sola, di non avere figli, di finire in miseria”
(da Alice acquista la morte).
Altrettanto spaventata, anche se apparentemente smargiassa, è Vera Ivanna, uno dei personaggi de La straniera, racconto incentrato sull’ossessione di lei di maritare sua figlia Lilja che a sposarsi neanche ci pensa. Tuttavia, per seguire i desideri della madre, la ragazza si ritrova in una vita che non ha immaginato, con le conseguenze del caso.
“Ottobre volgeva al suo mezzo. Lilja si sentiva mortificata, ingannata; soprattutto non mandava giù di aver dato alla luce un essere che adesso le legava le mani. Guardava smarrita la bimba,
non vedeva il senso di averla concepita”
(da La straniera).
Zenja, la protagonista di Animali o anime, rievoca con il suo temperamento certe esperienze della stessa Ludmila. È una donna anticonvenzionale, figlia degli anni Sessanta, dedita a un’occupazione scientifica, che rifiuta i tacchi a spillo per la praticità di scarpe basse, adatte a lunghe camminate a piedi. “Zenja non era una donna che si sforzasse di seguire la moda: tuttavia, sapeva cogliere il flusso generale con lieve anticipo sul gusto comune”. La conosciamo sicura di sé e la lasciamo in preda alla frustrazione e al disgusto per essersi ritrovata, per lavoro, in un laboratorio dove ammazzano gli animali. La vista del sangue, il fetore diffuso la mandano in crisi e si convince dell’impossibilità di una carriera come ricercatrice.
Nei racconti di Ludmila Ulitskaya respirano madri e figlie, sorelle, amiche, donne mature o acerbe che accarezzano l’inconscio del lettore, riflesso nella loro fragilità costellata di finte certezze e continue esposizioni a traumi e cambiamenti. Sono personaggi tremanti, che provano a resistere, a difendersi dagli imprevisti. In altri casi, sono donne reattive, con il cuore e la mente aperti. Gli uomini risalgono i perimetri emozionali tracciati da queste eroine moderne, universali, a volte attoniti e spaventati, altre solo innamorati. Il sentimento dominante nel libro lo esprime il titolo: è un disarmo, un’arrendevolezza difronte a certi avvenimenti che richiedono allineamento dei sensi ed esercizio di consapevolezza per la salvaguardia del corpo, della salute. Come sostengono le filosofie orientali, non c’è una separazione netta tra il fuori e il dentro, quello che conta è come interpretiamo ciò che viviamo.
Mosca è molto presente nella raccolta, come è presente nella biografia della scrittrice. Qui studia genetica ed entra all’Accademia delle Scienze dell’Unione Sovietica, da dove viene licenziata con l’accusa di diffondere libri proibiti. Come Zenja, Ludmila si scontra con una mortificazione che la getta in una crisi profonda. Negli anni Ottanta, però, le viene offerto di dirigere il teatro ebraico di Mosca e inizia a scrivere sceneggiature e romanzi. La sua fama tocca gli Stati Uniti, l’Europa e quindi la Russia, che non si accorge subito del suo talento autoriale. In questi racconti, d’altronde, ci sono molti riferimenti al teatro, ma anche alla medicina, alla biologia: è il lascito di una formazione variegata, umanista e scientifica insieme. Il filo conduttore di Tra corpo e anima non è solo l’interesse per le donne, che sono al centro degli eventi con le loro personalità, decisioni, solitudini, passioni, ma anche l’esperienza dell’esistere, dell’incoerenza che ne è alla base. La scrittrice conosce l’amore e il suo contrario, la nostalgia, il trasporto, la spontaneità. Con queste storie brevi non si pone l’obiettivo di srotolare politica, ideali, costumi: nessuna epica, solo osservazione dell’umano, con personaggi tormentati, in mezzo alle correnti dei giorni, figli dell’acume di un’autrice internazionale ma profondamente radicata in patria.