di Roberto Galofaro
Se la poesia è morta, facciamo parlare i poeti morti. Questo potrebbe essere stato l’innesco di Con in bocca il sapore del mondo di Fabio Stassi (minimum fax). L’autore non è nuovo a iniziative a cavallo tra erudizione e narrativa, dopo aver scritto un Libro dei personaggi letterari (2010, con altro titolo, e 2015) e dopo aver curato le edizioni italiane di Curarsi con i libri e Crescere con i libri di Ella Berthoud e Susan Elderkin. Questa sua nuova opera è quasi una Spoon River dei poeti italiani del Novecento. I testi che la compongono, ciascuno dedicato a un poeta, sono nati per un progetto televisivo andato in onda su Rai 5 (e ora disponibile su RaiPlay). Chi non volesse recuperare le puntate, può provare a immaginare la dizione piana, accorata dove serve, didascalica se necessario, degli attori professionisti chiamati alla lettura recitata. Alle esigenze del mezzo televisivo e al necessario porsi “fuori campo” delle voci, Stassi conforma la linearità del dettato e l’accorta misura dello stile. I dieci racconti in prima persona accompagnano alla perfezione le immagini di repertorio, i cimeli, le fotografie virate seppia, i girati dei luoghi d’origine e della vita dei dieci poeti: dal bellicoso vate D’Annunzio all’anziano e pacifico Montale, dal funambolico Palazzeschi all’incontentabile Cardarelli, dal mite Gozzano all’ambizioso Quasimodo, dallo schivo Saba all’uomo di pena Ungaretti, dal tormentato Dino Campana alla tormentata Alda Merini.
Stassi ne rievoca le biografie e le scritture, l’indole, le vicissitudini, le imprese. Ma è l’intenzione, a un tempo celebrativa e divulgativa, a dare l’impronta al progetto intero. Così, nell’insieme, le voci dei dieci personaggi narranti si somigliano e somigliano a un’unica voce, che attenua le differenze come attenua le passioni; ogni violenza ovattata nella dimensione di un ricordo nostalgico.
Già, perché la prospettiva è quella, post mortem, che consente di trovare il filo dell’esistenza, di riconoscerne i moventi, le tensioni e le linee di desideri e aspirazioni, e tuttavia di contemplare il passato con un certo distacco. Questo comporta una trasfigurazione dell’esistenza anche di fronte alla risacca delle passioni: c’è, sovente, un senso della disperante età che avanza e ghermisce ora la ragione (Campana) ora la mondanità (D’Annunzio) ora la possibilità di amare (Ungaretti). Ma non vi è nulla di gotico e di notturno, non c’è indugio nel pathos. C’è un sentimento del tempo trascorso che non è più tempestoso ma è reso leggero, un tirare le fila dopo che il filo è stato reciso dalle Parche. Dalla fine, così, Stassi può far raccontare ai suoi poeti il loro inizio, sempre avendo a cuore l’obiettivo della chiarezza. Anche quando la morte ha i connotati della burla, della beffa, dolorosa e tragicomica. Com’è la vita che si interrompe brusca, la vita quella vera, non quella editata, quella che non ha significato né scopo. Costellato, com’è ovvio, di citazioni dei versi, delle lettere, dei discorsi e degli articoli originali, il libro vale più come invito alla lettura che come opera narrativa autonoma, e forse in questo raggiunge il suo stesso scopo originario.