Il Barrito del mammut porta in libreria la raccolta di Nicola Ruganti Meglio che qua. Sedici novelle che raccontano la quotidianità dei personaggi dando ampio spazio al mondo dei sentimenti che li abitano. Con una penna minimale e lucida Nicola Ruganti entra nelle case, nelle vite e nelle teste dei personaggi, intreccia attualità e cronaca alla narrazione dandoci un cristallino squarcio della nostra quotidianità.
Il libro si arricchisce delle illustrazioni di Luca Dalisi.
Cattedrale vi propone uno dei testi della raccolta, per gentile concessione dell’editore.
ENRIQUETA
di Nicola Ruganti
Chiudo la porta, tocco per dieci volte le chiavi in tasca e mi convinco di non averle dimenticate. Prendo i prismi di vetro trasparente del lampadario di camera mia. Enriqueta se n’è andata ormai da molti anni, io ho trovato il tempo solo oggi di smontare il lampadario. “Ci vuole il tempo che ci vuole”, ricordo che mi diceva sempre così quando, esasperandola, per decidere una cosa mi ci voleva molto tempo. Comunque ho deciso, oggi vado da Oscar, ci vado due volte alla settimana. Vado all’Els Encants, un mercato dell’usato molto grande. Oscar lavora lì, ha uno stand di lampadari, applique e chincaglierie antiche per sostituire pezzi rotti. Ha tutto in ordine: scatole da scarpe una accanto all’altra piene di vetrini, plastiche simil-vetro, tutte di forme diverse e tutti pezzi uguali in ogni scatola. Sto smontando le suppellettili di casa, senza fretta; ci vado anche un po’ per chiacchierare. Arrivo al mercato, sembra un enorme bazar, sotto il guscio della riqualificazione prezzi e venditori sono gli stessi di quando ci venivamo con Enriqueta. Oscar è molto burbero con me, chissà se da fuori si potrebbe pensare che mi tratta male. A me va bene così, se non vado da lui non saprei da chi andare. Da lui c’è sempre qualcuno, i suoi amici, altri venditori, e io mi fermo a guardarli. Una volta addirittura Oscar mi ha dato un colpetto sulla testa, tipo per scionnarmi. L’ho ringraziato, la sera sentivo ancora pizzicare sulla testa, ma non ci ho badato. Un po’ imbambolato mi guardo attorno: arriva un tizio e con un telefono gli mostra una foto, Oscar inizia a far vedere la foto a tutti e a ridere. A me dice:
– Lascia perdere, non guardare.
Credo sia una cosa che non merita di essere presa e rivenduta. Tocca a me, gli faccio vedere i prismi trasparenti preparati e allineati con pazienza e precisione dentro una scatola, Oscar li prende e li getta in un secchio. Mi guarda come un estraneo, non può farmi questo, trattato male sì, estraneo no. Mi allunga due euro spicci; li prendo, mi rendo conto della miseria che ho nelle mani e non mi capacito. Quando ero giovane, appena arrivato, facevo il lavapiatti in un locale sulla Rambla e avevo come capocuoco un giovane sulla quarantina che usciva durante il lavoro, andava a pippare coca per un paio d’ore in un locale notturno lì vicino e rientrava strafatto. Un giorno tornò, mi chiese di finire di preparare un piatto, e minacciò di dire al padrone di licenziarmi:
– Finisci tu, io esco di nuovo e mi raccomando pulisci bene!
Lo disse pure ridendo sprezzante; avevo un vassoio pieno di piatti e bicchieri e non ci fu più niente tra me e la rabbia. Gli tirai il vassoio addosso, cadde a terra e lo presi a calci, e andandomene gli buttai lo straccio su quella faccia strafatta. Oscar è davanti a me, molto più vecchio del capocuoco, e anch’io. Quasi a rallentatore inizio a prendere a calci la sua chincaglieria, se Oscar è uno sconosciuto niente mi frena più. Oscar rimane come paralizzato, quel che basta perché possa frantumare il suo bazar con una furia senza perdono, una furia da vecchio. Durante il cammino verso casa passo accanto al fruttivendolo: è appena arrivato un camion di consegna, capisco che al ragazzo del Bangladesh che gestisce il negozio manca una cassa, il camionista catalano cerca di fare finta di niente, allora quelli del negozio si iniziano a incazzare e, senza troppa fatica, si fanno rispettare.
Li osservo ammirato, ma non sento l’angoscia di sempre, oggi sono un po’ più leggero. Mi guardo nella vetrina, mi viene da piangere, ma non ci riesco; è tardi per dirglielo, ma oggi Enriqueta sarebbe contenta: c’è voluto il tempo che ci è voluto, ma quel baccano da Oscar l’ho fatto e alla fine l’avrei guardata, mi avrebbe sorriso, saremmo scappati per mano. Io, lei e tutto il nostro imbarazzo, per la prima volta.