Dal 21 Settembre è in libreria Lavoro sporco, Mucho Mojo Club pubblicato da Casa Sirio. Otto maestri della crime fiction spalancano le porte della loro scrittura e celebrano il Mojo che si affaccia in ognuno di noi.
Cattedrale vi propone il racconto di Willie Meikle per la traduzione di Martino Ferrario.
Frankie, dracula e il lupo mannaro
di Willie Meikle
- Cos’è, uno scherzo? - disse il barista del Mucho Mojo. Lasciai fosse Drac a parlare. Avevamo già deciso di restare il più possibile nel personaggio, e poi la maschera di lattice che avevo addosso rendeva parecchio difficile articolare qualsiasi discorso. - Le assicuro, mio caro signore - disse Drac nell’atroce tentativo di scimmiottare l’accento europeo - che questa non è una sterile burla. Siamo l’intrattenimento di questa serata e siamo qui per portarvi il terrore. Poi spalancò il mantello e mise in mostra i canini. - Te’o’e - urlò Frankie, e batté i piedi a terra. Mi unii al gruppo con un ululato. Tre clienti si accodarono al mio urlo, e il nostro spettacolo – il nostro primo spettacolo – fu così pronto a cominciare. Prepararci richiese molto più tempo del previsto. Quelle manone pelose di gomma mi crearono parecchi problemi a infilare i jack negli attacchi e in più Frankie, che era rimasto nel personaggio, stava facendo tutto con una lentezza estenuante. Così, quando fummo pronti a cominciare, il pubblico si era già parecchio innervosito. Le bacchette, strette nei guanti, mi sembravano un corpo estraneo, e non appena cominciammo The Monster Mash mi resi conto che sarebbe stata una lunga notte. Io ero fuori ritmo, il basso di Frankie era troppo alto e Drac continuava a cantare con quel ridicolo accento pensando fosse divertente, solo che non rideva nessuno. Se a queste cose aggiungete che non avevamo provato abbastanza e che, per sfondare, ci affidavamo principalmente al talento di Drac nel suonare la chitarra, potete ben capire che gli elementi per il disastro c’erano tutti. Gli schiamazzi iniziarono durante Bad Moon Rising. Non potevo davvero biasimarli, mi sarei messo a fischiare pure io se fossi stato costretto ad ascoltarci. Mentre concludevamo la canzone, ognuno coi suoi tempi, il barista fece cenno di averne avuto abbastanza e staccò la corrente. Poi si lasciò dietro il bancone e ci si avvicinò. - Guardate, ragazzi, vedo che avete talento… ma così non va. Tornate tra un paio di mesi, quando avrete lavorato per bene sulle canzoni. Vi tengo una data attorno a Capodanno, va bene? Era stato più generoso di quanto avremmo potuto sperare e, fosse stato per me, avrei accettato la proposta e me la sarei data a gambe prima che la serata diventasse un’umiliazione. Ma Drac non era della stessa idea.
- Un’altra canzone - disse. - Solo una. Lascio perdere l’accento, e faremo tutti le cose per bene. Se riusciamo a finirla, poi sta a lei scegliere se staccarci la corrente o lasciarci andare avanti. Solo un’altra. Per favore. Con mia grande sorpresa, il barista accettò. - Va bene, ma prendetevi dieci minuti di pausa, dategli il tempo di calmarsi. Se vi rimetto sul palco adesso, a qualcuno potrebbe venire in mente di infilzarvi con un paletto. Cercammo di non dare nell’occhio e uscimmo dalla porta sul retro non appena il barista annunciò un giro di consumazioni scontate. Probabilmente non aveva un gran orecchio per il talento, ma sapeva benissimo come far felici i suoi clienti. Drac era un fascio di nervi, non l’avevo mai visto così agitato. - Bene - disse. - Qual è il nostro pezzo forte? Con cosa li possiamo stendere? - Non avete un pezzo forte - disse una voce dal buio che c’era dietro i fusti vuoti. - Ma io posso prestarvene parecchi, dipende dal prezzo. Satana uscì dalle tenebre. Il suo costume era migliore dei nostri; non si vedeva una cucitura, e la sua voce era roca al punto giusto. Rimase nel personaggio per tutto il tempo. - Di che parli? - disse Drac. Il tipo venne più vicino e io mi allontanai impercettibilmente. Puzzava di uova marce e di qualcosa di persino peggiore, come un cane morto lasciato al sole per troppo tempo. Il nuovo arrivato alzò una mano mostrando i fili di fumo che gli nascevano dalle dita. - Tutto quello che chiedo è che rimaniate nei vostri personaggi - disse. - E che pensiate a me mentre state suonando. Vedrete che vi basterà avermi in mente per diventare una cosa sola. Fidatevi, l’ho già fatto tante altre volte. Funzionerà. - Dobbiamo solo restare nel personaggio? Satana sorrise. - Chiedo troppo? Drac guardò me e Frankie. Rispondemmo alzando le spalle, non sapevamo davvero cos’altro fare. Da parte mia, l’unica cosa che volevo era mettere fine a quella serata il più presto possibile. Drac decise di stare al gioco. Allungò la mano. Satana si sputò un grumo di muco bollente sul palmo prima di stringergliela. - Adesso abbiamo un accordo. Detto ciò sparì nel buio dietro ai fusti di birra, veloce come era arrivato. - Questa sì che è strana - disse Drac. - Stasera i matti sono tutti in giro. Torniamo a noi però, qual è la canzone che ci serve per far funzionare sta cosa? Ci accordammo per qualcosa che avrebbe coinvolto il pubblico. Quando tornammo dentro non furono granché felici di vederci, e le proteste iniziarono non appena salimmo sul palco. Ci furono pure un po’ di fischi. Tutto cambiò non appena Drac attaccò l’intro di Werewolves of London con l’ampli settato a mille. Frankie entrò al momento giusto con un giro di basso che fece tremare il pavimento, le bacchette divennero un’estensione delle mie mani. Pensai a Satana, e tirai fuori un ritmo che fece oscillare le lampade sopra di noi. Quando ululai durante il ritornello, l’intero bar ululò con me e io sentii un brivido salire su per la spina dorsale. Non mi ero mai sentito così. Portai a termine la canzone con un altro ululato, un ululato che si fece strada dalla bocca dello stomaco per riecheggiare in lungo e in largo per tutto il bar e chiudere la bocca ai presenti. Drac spezzò il silenzio avvicinandosi al microfono e sussurrando in una perfetta imitazione di Bela Lugosi: - I figli della notte. Che musica dolce producono. L’applauso, quando arrivò, fu assordante. Il barista ci mostrò i pollici alti. Gli sconti andavano avanti, e con loro noi, che lanciammo Bad to the Bone. Frankie fece esplodere il bar marciando su e giù per il locale, il basso a tempo coi piedi ed entrambi a ritmo con la canzone. Drac si prese il suo momento di gloria con una versione oscena di Bad Things. Riuscì persino a far strillare un po’ di ragazze con quella pronuncia strascicata. Per quanto riguarda me, ebbi l’occasione di ululare ancora su Hey There, Little Red Riding Hood, che avevamo provato solo una volta ma che ci uscì come se fossimo nati per suonarla. Per tutto il tempo ebbi in mente lui: l’uomo in rosso, Satana, che sorrideva mentre si sputava sul palmo della mano e la stringeva per suggellare il patto.
Adesso era con noi tutto il pubblico, che cantava e ringhiava, che batteva le mani o teneva il tempo coi piedi, e l’intero locale stava per partire di testa. Drac lo condusse in una cover di The Time Warp, e in molti iniziarono a ballare sui tavoli e rovesciare la birra a terra, ma al barista sembrò non importare. Rallentammo il giusto per Red Right Hand, e anche se il mio rullante avesse suonato come un set di campane tubolari per tutta la canzone non mi sarei lamentato, non con il livello di adulazione del pubblico che ci arrivava alle orecchie. Tornammo a volumi da spaccare i timpani con The Devil Went Down to Georgia, con la chitarra di Drac che sostituiva alla grande il violino impazzito del pezzo originale. Verso la fine del suo feroce assolo, alzai lo sguardo e intravidi l’uomo in rosso in piedi dietro al bancone, un sorriso che partiva da un orecchio e arrivava vicino a quell’altro, ma, quando guardai di nuovo, non c’era più. Chiudemmo la serata con una versione di Beat the Devil’s Tattoo cui aggiunsi un po’ di ululati. Nessuno sembrò dispiacersi e anzi, quando arrivammo all’apice del pezzo, il bar intero stava ululando alla luna. Scendemmo dal palco per essere trattati come eroi conquistatori. L’eccitazione durò fin dopo l’orario di chiusura, e solo quando iniziammo a mettere via i nostri strumenti i clienti accennarono ad andarsene. - Bel lavoro, ragazzi - disse il barista. - Organizzeremo un’altra serata molto prima di Capodanno.
Ormai eravamo rimasti solo in sei nel locale; noi tre, il barista e due delle cameriere, entrambe parecchio colpite da Drac, che si stava crogiolando nelle loro attenzioni. - Potete togliervi i costumi adesso che la gente se n’è andata - disse il barista. - Vi starete sciogliendo lì dentro. - Scio’ndo - disse Frankie a voce troppo alta. - Se vi va, potete fare un salto a casa nostra - disse una delle cameriere. - Abbiamo un paio di bottiglie di Australia Red e… - Io non bevo… vino - rispose Drac serissimo. Provai a ridere, ma l’unica cosa che riuscii a emettere fu un abbaio che mi bagnò di saliva le labbra. Alzai una mano per pulirmi la bocca e la sentii umida, un po’ appiccicosa. Sensazione di saliva sui peli delle nocche. Non c’erano più né gomma né guanti, solo pelo e carne e artigli affilati come rasoi. Mi toccai la bocca e sentii delle zanne altrettanto aguzze. - Dobbiamo solo restare nel personaggio - disse Drac, e saltò addosso alla barista più vicina, spingendola contro il bancone per metterle in mostra il collo. I suoi canini trapassarono la pelle con facilità. Il sangue schizzò e io ululai, a testa alta, inspirandone l'odore esaltante e volendone ancora. Il barista cercò di prendere qualcosa sotto al bancone, non sapremo mai se una mazza da baseball o una pistola. Frankie lo afferrò, lo sollevò in aria e, con un ruggito che fece oscillare le lampade, lo scagliò dall’altra parte del locale, vicino al palco, dove atterrò sotto forma di mucchio di ossa rotte. - Merda - disse la cameriera rimasta, e scattò verso la porta. - Mer’ra - esplose Frankie, e si mise a correrle dietro, le gambe rigide, sfondando il telaio della porta mentre ci passava in mezzo e seguendo le urla nel parcheggio. Drac mi sorrise, il sangue che ancora gocciolava dai canini. - Si sta alzando una luna cattiva. Andiamo a darle un’occhiata? Ululai. Poi mi unii alla caccia.