L'annuncio, di Luca Ricci

1


Nella sera che andava rinfrescandosi, la carovana procedeva a fatica. A ogni tornante la macchina di testa suonava il clacson per avvisare quelli della corsia opposta della nostra presenza. Qualcuno scese e prese a vomitare l’aperitivo. Mia moglie si sporse dal finestrino ma non riuscì a capire di chi si trattasse. Seguirono una serie di commenti, battute, schiamazzi. Ci eravamo fermati, adesso. Ma quella pausa non sarebbe durata a lungo.
Mia moglie rimise la testa dentro l’abitacolo: - Con tutta questa umidità addio messa in piega.
- Eppure è solo il primo di settembre.
- Siamo pur sempre su un monte.
Picchiettavo le dita sul volante. Mia moglie contorceva il manico della borsetta. C’era qualcosa, nell’aria. Qualcosa che somigliava all’eco del clacson prima di venire inghiottito dalla vallata, debole eppure persistente.
- Quando vuoi dirlo?- domandai.
- Non saprei.
- Il dessert è il momento giusto.
Mia moglie parve rifletterci un istante: - Potremmo dirlo anche subito, tanto tutti si aspettano quello.
- Dici prima dell’arrivo dei menù?
Mia moglie annuì ma senza troppa convinzione.
Allora buttai lì la mia proposta: - Lo diremo quando ci va, d’accordo? All’inizio, o al dessert, o anche nel corso della cena se ci gira.
A quel punto le altre macchine cominciarono a muoversi. Tolsi il freno a mano e partii anch’io. Mi concentrai esclusivamente sulla strada. Un tornante, un colpo di clacson della macchina in cima alla carovana e così via, fino al parcheggio del ristorante.
Una ragazzina ci fece accomodare al tavolo. I lumi erano maculati dalle ultime farfalle estive. Certe se ne stavano immobili, incollate al vetro, altre tentavano un’inutile ribellione al fascio di calore e luce che le teneva prigioniere: un guizzo patetico, prima di tornare a incollarsi al vetro.
Il tavolo l’avevo prenotato io stesso, con largo anticipo.
- All’aperto, se possibile,- avevo detto.
La voce del padrone, all’altro capo del filo, era suonata bassa e riguardosa: - Non si preoccupi, chiamando adesso posso darglielo che si affaccia sul belvedere, ma la maggior parte chiama troppo tardi.

2

Mi accesi la seconda sigaretta, spegnendola dopo qualche boccata. Mangiucchiai tutti i grissini della confezione e bevvi un sorso d’acqua. La ragazzina venne a portare i menù. Una ventata improvvisa rovinò definitivamente la messa in piega di mia moglie.
- Ho quasi freddo,- disse. - Mi andresti a prendere il maglione?
Annuii e mi diressi verso l’uscita. Restai in contemplazione della distesa di ghiaia molto più a lungo di quanto si faccia di solito nel parcheggio di un ristorante. Le pietruzze erano talmente colorate da sembrare un tappeto persiano. Alzai una scarpa e provai a togliere quelle che si erano conficcate nella gomma della suola.
Mi corse incontro il mio migliore amico: - Come mai le donne sono così freddolose?
- Stasera ho freddo anch’io.
In macchina recuperai il maglione e mi venne da ridere. Quella mattina ero entrato in uno di quei vecchi cinema porno in cui non va più nessuno. All’interno avevo pagato il biglietto e avevo scostato un’enorme tenda che puzzava di sporco: nessuno aveva avuto niente da ridire, nessuno mi aveva guardato storto. Ero rimasto in sala solo per qualche minuto. Mi erano rimasti impressi i gemiti della pellicola, e il viavai dei vecchietti per il bagno. Non ero mai andato in un cinema a luci rosse, neanche da ragazzino. 
Mentre tornavamo dentro il mio migliore amico mi offrì una sigaretta.
 - Allora ti sei deciso,- disse.  
- Lo saprai soltanto dopo il dolce.
- Ormai è fatta, sono scattate le manette eh?
- O forse dopo il caffè.
Il mio migliore amico scoppiò in un’energica risata e accelerò il passo: - O dopo l’ammazzacaffè?

3

Masticai una tartina e fumai una sigaretta fino al filtro. La bocca sapeva d’un impasto di caviale e nicotina. A quel punto la ragazzina portò i primi. Mia moglie appena seduta aveva parlato con le altre coppie del tavolo, adesso invece sembrava assente. Le detti un pizzicotto sulla guancia per riscuoterla da quella catatonia: - Hai ancora freddo?
Mentre glielo chiedevo un filo di cenere passò a pochi metri dalla tavolata.
Mia moglie guardò il profilo dei monti in lontananza: - Sbaglio o quest’estate hanno preso fuoco?
- Laggiù,- risposi, indicando un punto in cui c’era un lembo di vegetazione ancora riarsa.
- Impressionante.
Restammo ancora un po’ a guardare, come se avessimo potuto individuare il punto esatto da cui proveniva lo sciame di cenere.
I primi furono scalzati dai secondi e i secondi dal dolce, e ancora nessuno dei due prese l’iniziativa. Poggiai il tovagliolo accanto al piatto e andai in bagno.
Buttai la carta igienica nel water e azionai lo sciacquone. Infilai l’indice tra una mattonella e l’altra. Erano piccoli esagoni. Seguii i bordi come se fossero da ritagliare. Tornai al water. Alzai il coperchio della cassetta e controllai l’acqua. Il tubo di riempimento, l’asta del galleggiante e il galleggiante. Poi mi specchiai con i pantaloni abbassati. Strinsi le gambe, in modo che si vedesse soltanto il pelo pubico. Riconsiderai la vita da un punto di vista femminile. Immaginai di diventare un ermafrodito, o qualcosa di simile. Qualcosa che aveva a che fare, o pensavo avesse a che fare, con un’estrema libertà.
Mia madre mi chiamò al cellulare proprio in quel momento.
- Che c’è?- domandai.
- Come che c’è? Come sta andando?
- Tutto bene, mamma.
- L’avete fatto l’annuncio?
- Non ancora.
Sentii mio padre lì accanto borbottare qualcosa d’incomprensibile. Mia madre lo zittì. Mi chiesi se dopo i figli rimaneva solo la voglia di sapere chi era riuscito a mettere sotto l’altro. Chi aveva vinto, e chi aveva perso. Chi aveva avuto la personalità più forte, chi era riuscito a convincere chi.
Poi mia madre tornò all’attacco: - Cosa aspettate a dirlo? Non vi sentite pronti?
Ridacchiai: - Ci sentiamo pronti, dopo sette anni, credo proprio di sì.
Mia madre sbuffò, o sospirò, o semplicemente si sbarazzò di una quantità eccessiva d’ossigeno dai polmoni: - Era proprio l’ora.

4

- Lo prendiamo tutti,- disse un po’ sbrigativamente il portavoce della tavolata.
- Allora dodici?- chiese conferma la ragazzina.
Si levarono delle voci di dissenso: alcuni non lo volevano, altri lo gradivano decaffeinato.
La ragazzina ascoltava con la penna biro poggiata sulle labbra: - Okay, chi lo prende normale?
Contò le mani alzate, e appuntò rapidamente sul taccuino il numero esatto dei caffè. Indossava un paio di jeans a vita bassa, e una canottiera bianca. L’ombelico rimaneva di fuori. Un’unica treccia bionda le passava in mezzo alle scapole, fermandosi appena sopra l’orlo della canottiera. Nonostante le scarpette da tennis, si slanciava con grazia fra i tavoli. Mi chiesi per quanto tempo ancora sarei potuto essere appetibile per una ragazzina del genere. Notai che la osservava anche mia moglie: forse pensava che i loro visi non fossero poi così diversi, o forse tutto il contrario. Ci guardammo, io e mia moglie. I nostri occhi, che fino a quel momento si erano per lo più evitati, s’incrociarono di sfuggita. Non sapevo neanche perché la chiamassi già così: moglie.
Qualcuno, quasi con stizza, si sbracciò per attirare la nostra attenzione:- Perché non iniziamo a farci portare lo spumante e i bicchieri?
Quello era il momento, in effetti. Stavo per prendere la parola quando irruppe sul tavolo un dirigibile gonfiabile. Per un secondo tutto il resto passò in secondo piano. Il dirigibile era nero, curato fin nei minimi dettagli. Apparteneva al bambino del tavolo accanto. Continuava a dire che da grande voleva fare il pilota. Doveva ancora allenarsi, evidentemente.
- Ma non dovevate dirci una cosa?- ci pungolò qualcun altro.
Ancora una volta incrociai lo sguardo di mia moglie, ma le bocche rimasero chiuse. Lasciammo arrivare le bottiglie di spumante, lasciammo che i tappi saltassero.
E qualcuno, alla fine, dette l'annuncio al posto nostro.


Luca Ricci ha vinto due importanti premi dedicati al racconto: con Il piede nel letto (Alacran, 2005) il Cocito Montà d’Alba, con L’amore e altre forme d’odio (Einaudi, 2006) il Premio Chiara. Ha pubblicato racconti su Il Caffè illustrato, Nuovi Argomenti, Nazione Indiana e minima&moralia. Ha scritto racconti per RadioRai3 e per il Messaggero. Ha portato in giro per l’Italia “I dieci comandamenti del racconto breve” e il reading spettacolo “Nessuna enfasi: cinque racconti letti e illuminati”. Ha tenuto per la scuola Holden il corso “Scrivere un racconto che piacerebbe al New Yorker”. Ha pubblicato singoli racconti in digitale: L’acciambellato (I Corsivi del Corriere della Sera, 2013) e Ferragosto addio! (Quanti Einaudi, 2013). Il suo ultimo libro di racconti è appena uscito: Fantasmi dell’aldiquà (La scuola di Pitagora, 2014). Nell’antologia “Narratori degli anno zero” (L’orma editore, 2010), Andrea Cortellessa lo definisce ‘il virtuoso più consumato della tecnica del racconto oggi in Italia'.