Intervista a NN Editore

Abbiamo intervistato Eugenia Dubini, editrice, e Alberto Ibba, responsabile commerciale e comunicazione, di NN Editore. Ringraziandoli per la disponibilità, scopriamo con loro in che modo la casa editrice si rapporta ai libri di racconti.

 

a cura della Redazione

NN sta dando prova, negli ultimi anni, di una grande maturità editoriale, sia in termini qualitativi che competitivi, e si è imposta sul mercato attraverso libri che ormai fanno parte del tessuto collettivo dei lettori – pensiamo alla trilogia di Kent Haruf – ma anche a libri meno immediati, forse, eppure di una potenza indiscutibile come il memoir di Jenny Diski In gratitudine. La cosa che ci ha fatto molto piacere, è notare come questa maturità sia stata fruttifera e benevola anche nei confronti delle raccolte di racconti, che hanno avuto una buona risonanza nel panorama editoriale. Pensiamo a Paradisi minori di M.M. Bergman, che ha avuto un’accoglienza fortissima. Ci sono strategie differenti di promozione, rispetto a questi libri, per ottenere i risultati avuti? Quali difficoltà può incontrare un libro di racconti pubblicati da NN, e come le argina NN?

Eugenia Dubini: Quando abbiamo cominciato a leggere i manoscritti per NN, avevamo già deciso di strutturare il nostro catalogo in serie, e non in collane. Le serie sono composte da libri legati tra loro non per l’origine dello scrittore o per il genere, ma secondo un tema. Sin da subito, quindi, abbiamo deciso di accogliere - e legare tra loro - romanzi, racconti e memoir, con l’unico indispensabile requisito della lingua, originale, musicale, letteraria come si usa dire. Il tema dell’indagine di NN è la ricerca sull’identità nel contemporaneo, e nel primo anno, ad esempio, il focus di questa ricerca erano i ruoli e le relazioni, le difficoltà che pongono agli individui, come si trovano nei modelli di riferimento, moglie, marito, padre, figlio, amico. Dopo Haruf e Jenny Offill, il primo libro che abbiamo comprato è stata la raccolta di racconti di David James Poissant, Il paradiso degli animali, che i nostri lettori hanno amato tantissimo e che, per noi, è tra i best seller della casa editrice. È uscito a ottobre 2015, NN esisteva in libreria da pochi mesi, dal marzo di quell’anno.

Negli ultimi tempi si parla più spesso di racconti, si ha l’impressione che i libri di racconti facciano meno paura all’editore, che il pregiudizio che spesso ha condannato la forma breve sia un po’ scemato, o addirittura mai esistito. Insomma si avverte una specie di sdoganamento del racconto. Ma è così? Nella vostra esperienza editoriale, come vi ponete rispetto alla ricerca, e quindi a un’eventuale pubblicazione, di una raccolta?

Eugenia Dubini: Sapevamo della fama dei racconti, è una di quelle profezie che girano nel mondo editoriale italiano da anni. Ma anche la scommessa di aprire una casa editrice nel 2013 godeva della stessa cattiva fama: la prima cosa che ci dicevano era sempre, siete pazzi. In realtà, al di là del fatto che fare NN era il sogno della nostra vita, all’inizio abbiamo scommesso sui lettori e su come i lettori ci sembravano cambiati negli ultimi anni. A noi pareva che il libro, così come altri prodotti culturali, fossero tornati al centro del discorso. E che l’attività di leggere fosse diventata un’attività partecipata e condivisa, grazie a nuove opportunità e spazi di scambio e comunicazione, luoghi fisici come i gruppi di lettura e luoghi virtuali come blog e social. In questa piccola rivoluzione silenziosa, abbiamo scommesso che i racconti potessero avere opportunità di incontrare i lettori, né più né meno dei romanzi o dei memoir.

In casa NN, come viene gestito, in termini commerciali ed economici, un libro di racconti? E quali differenze deve avere, questa gestione, rispetto a un romanzo?

Alberto Ibba: Non abbiamo mai differenziato il lancio di un libro di racconti da un romanzo. Abbiamo supportato i libri di Poissant o della Bergman (kit per le librerie, segnalibri, cartoline, shopper) esattamente come i romanzi di Drury o di Panowich. La forza sta nella qualità del libro e nella coerenza interna al catalogo.

Quando avete un libro di racconti da valutare, in tutta sincerità, vi fate delle domande diverse rispetto a un romanzo? Cioè, quali sono i dubbi e le perplessità che un editore si pone riguardo alla pubblicazione di una raccolta, che, invece, non avrebbe per quella di un romanzo?

Eugenia Dubini: Ogni libro che valutiamo si porta con sé domande specifiche, dubbi e valutazioni proprie di ogni testo, sia rispetto al genere sia rispetto a intreccio, personaggi, voce, nucleo e scrittura. Ci chiediamo sempre il senso di quel libro, il senso in assoluto e il senso all’interno del catalogo di NN, e il senso nei percorsi di lettura che si sono creati tra i libri, anche al di là di come li avevamo pensati o della traccia cronologica delle proposte. I racconti non sfuggono a questa sorta di inquisizione interna, durissima e a tratti dolorosa (quando devi abbandonare un libro cui ti sei affezionato, ad esempio, o quando non riesci ad acquisire un titolo su cui avevi puntato). Ma dopo l’ottima accoglienza delle prime due raccolte - quella di Poissant di cui parlavo prima e I paradisi minori di Megan M. Bergman - anche per noi si è sciolto un nocciolo di dubbio e di paura, quindi abbiamo messo in piano editoriale altre proposte per il futuro. E siamo appena usciti in libreria con un esordio italiano che è un romanzo in racconti, A misura d’uomo di Roberto Camurri, così come il Danze di guerra di Sherman Alexie, che è un libro mosaico, fatto di racconti, dialoghi e poesie.

Qual è l’atteggiamento delle librerie rispetto alle vostre proposte di libri di racconti?

Alberto Ibba: Quando è uscito Il paradiso degli animali di David James Poissant c’è stata un’iniziale diffidenza. Eravamo però all’esordio della casa editrice e i librai dovevano ancora comprendere al meglio la nostra politica editoriale. La qualità dei racconti, il riscontro dei lettori e il passaparola sono stati determinanti. Quando abbiamo invitato l’autore in tournée in Italia abbiamo riempito le librerie. Cosa che siamo certi di replicare con Megan Bergman il prossimo giugno.

Quando acquistate i diritti di una raccolta straniera, avete maggiori o minori difficoltà, in termini economici, rispetto all’acquisto di quelli di un romanzo? Avvertite delle differenze di trattamento, nel mercato straniero?

Eugenia Dubini: Non mi sembra di riscontrare un diverso trattamento tra raccolte di racconti o romanzi. I racconti all’estero non vengono sempre considerati opere minori – come accade in Italia - né opere di riscaldamento in attesa del ‘vero’ libro. Gli agenti sanno però che qui gira la profezia e se chiedi in lettura i racconti alzano il sopracciglio e ti guardano incuriositi. O almeno era così, le cose stanno cambiando. Le differenze di trattamento, nel caso, si pongono tra autore esordiente e autore affermato, come in tutti i mercati, a meno di un forte tam tam di stampa e critici sulla nuova uscita. Ancora diverso, invece, è se si sceglie di voler pubblicare una raccolta di racconti di un autore già presente con i romanzi, o i saggi, nel catalogo di un altro editore. In questo caso può accadere che la raccolta rimanga bloccata o non venga mai pubblicata.

Le vendite di un vostro libro di racconti sono mai state equiparate a quelle di un vostro romanzo?

Alberto Ibba: Ad oggi sia Il paradiso degli animali che Paradisi minori di Megan Bergman che il nuovo Danze di guerra di Sherman Alexie si collocano tra i libri più venduti nel nostro catalogo. Se a questi vogliamo aggiungere il romanzo di Roberto Camurri A misura d’uomo, che nasce come una raccolta di racconti e che è arrivato a diecimila copie in un mese, possiamo sfatare definitivamente ogni scetticismo.

Domanda di rito: in fin dei conti, è vera la massima secondo cui i racconti non vendono?

Eugenia Dubini: Per noi non è così, è vero il contrario, come dimostrano anche le proposte più recenti di altri editori, indipendenti e grandi.

 

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Intervista a Daniele Di Gennaro, editore Minimum Fax

 

a cura della Redazione

Minimum Fax è una delle poche, virtuose case editrici che pubblicano racconti. Non è che le altre non li pubblichino, però Minimum Fax ha la capacità, e anche la voglia, di trattare un libro di racconti come qualsiasi altro libro: ci investe, li rende visibili con un'accurata campagna stampa, li manda ai premi...Insomma, fa quello che qualsiasi altro editore un po' si spaventerebbe a fare con un libro di racconti. Non crediamo sia solo una questione di coraggio, il coraggio deve fare anche i conti con il mercato: come vi muovete rispetto a questo aspetto? Come arginate le difficoltà che sul mercato investono le raccolte di racconti?

Quando è nata Minimum fax c’erano molti ambiti editoriali “non coperti”, la poesia, le interviste d’autore sul mestiere della scrittura, una narrativa che affrontasse l’inquietudine e il tempo presente. Di fatto, nel mercato editoriale c’era un grande pregiudizio sui racconti, percepiti dal mercato come forma minore, quindi meno vendibile. Da lettori pensavamo esattamente il contrario. Una collana intera dedicata all’opera omnia di Raymond Carver, il libro di racconti di Valeria Parrella Mosca più balena arrivato in cinquina al premio Strega, i racconti ustionanti, straordinari di David Means (Episodi incendiari assortiti una rivelazione), l’antologia La qualità dell’aria, furono la prova del contrario. Li abbiamo considerati, trattati e comunicati come evento editoriale in seno a un progetto più ampio.

Quando avete un libro di racconti da valutare, in tutta sincerità, vi fate delle domande diverse rispetto a un romanzo? Cioè, quali sono i dubbi e le perplessità che un editore si pone riguardo alla pubblicazione di una raccolta, che, invece, non avrebbe per quella di un romanzo?

No. Cerchiamo le stesse cose, la cura e l’originalità della lingua, una progressione emotiva nei singoli racconti e nel loro avvicendarsi, la sospensione di incredulità nel lettore, la voce e il profilo dei personaggi. L’unico specifico della forma racconto è l’ordine, la successione e la coerenza della raccolta. Ci possono essere racconti che non ha senso inserire, a prescindere dalla qualità, per una necessità di compattezza delle narrazioni. Come in un disco.

Raccontaci un po’ quali sono le maggiori difficoltà, quelle concrete, che Minimum Fax incontra nella promozione e nella vendita di un libro di racconti.

Convincere la rete promozionale e quindi i librai dell’importanza della scrittura e dell’autore a prescindere dal tipo di narrazione. Sta succedendo adesso con Nelle terre di nessuno di Chris Offutt: l’autore è una vera rivelazione, abbiamo acquisito i diritti di sei suoi libri, il prossimo a venir pubblicato sarà un romanzo, ma verrà trattato con lo stesso tipo di cura e di comunicazione. È letteratura, che ci racconta qualcosa di importante da prospettive nuove, empatiche, rivelatorie di spazi e sentimenti poco raccontati. Il suono e l’armonia parlano a chi ascolta, non importa quale sia la durata dell’opera.

Puoi dirci, più o meno, il fatturato che fa, o non fa, nell’anno, un libro di racconti rispetto al vostro piano commerciale? Quanto incide e quanto, invece, pesa?

È un calcolo complesso che non saprei farti così su due piedi, anche perché i libri di racconti variano di anno in anno, e hanno sorti differenti per quel che riguarda il venduto. Di certo la media dei racconti vende un po’ meno del romanzo, ma anche un calcolo statistico sulla media ha poco senso: i libri di Carver, di Valeria Parrella, la raccolta Burned Children of America, i libri di Paolo Cognetti hanno realizzato numeri di vendita per noi da best seller, molto più di tanti romanzi. Parecchio dipende anche dalla responsabilità dell’editore, se si limita a una “tentata vendita” del singolo titolo, o tratta quei libri come parte di un progetto, di una mappa culturale riconoscibile. Lì si decide o meno la nascita di una comunità di lettori.

Da quando siete nati, il vostro catalogo è sempre zeppo di raccolte, anzi, è diventato quasi un marchio di fabbrica – soprattutto grazie allo sdoganamento e al lavoro preziosissimo che avete svolto intorno alla produzione di Carver. Le cercate di proposito le raccolte, per mantenere viva questa attenzione, questa specie di occhio attento ai racconti? O dipende solo dalla bontà di un libro, che, guarda caso, potrebbe essere una raccolta?

Le raccolte le leggiamo con lo stesso interesse con cui leggiamo i romanzi. Possono essere libri d’esordio che rivelano l’esistenza di un nuovo scrittore, o prove fulminanti di grandi romanzieri. Altra cose sono le antologie: aprono di solito per noi un progetto di pubblicazione di libri di diversi autori raccolti in quella silloge.

Che i racconti subiscano un pregiudizio penalizzante è abbastanza evidente in tutta la filiera editoriale; dagli scrittori che non li difendono, e, magari, temono di proporli; agli editori che non investono; alle librerie, ai premi, ai festival che non concedono loro lo spazio adeguato (escluse alcune preziose eccezioni); a volte anche tra i lettori, che non li conoscono abbastanza o che non sono ‘educati’, diciamo così, alla loro fruizione. Come editore, cioè, dal punto di vista di una creatura ibrida, che si trova sempre in bilico tra l’aspetto culturale e qualitativo di un testo e quello del suo valore commerciale, quali credi siano le strategie migliori per debellare questo pregiudizio?

Basterebbe comunicare ai lettori che i racconti in realtà sono la prova più difficile della letteratura tutta. Vivono di equilibri delicatissimi. Un racconto perfetto è frutto di un lavoro estenuante sulla parola, sulla punteggiatura, sul lavoro fondamentale dell’immaginazione e i sentimenti del lettore. Li paragonerei ai cento metri piani di atletica leggera: se sbagli un passo sei fottuto, arrivi ultimo, sparisci. Un buon romanzo corposo può reggere una pagina debole come una piccola caduta: un capoverso o una frase sbagliata in un racconto genera un vero e proprio crollo. Sarebbe anche importante considerare che il trionfo delle serie tv è molto più sincronizzato sul battito cardiaco dei racconti, e che l’attitudine alla lettura nella contemporaneità sta generando moltissimi fruitori di quella modalità, che nel passo breve regala compiutezza, rilassamento e bisogno latente di una prossima narrazione che abbia la stessa mano, la stessa voce e lo sguardo dello stesso autore.

Domanda secca: in fin dei conti, è vera la massima secondo cui i racconti non vendono?

Non è vera. Il problema è proprio la fine dei conti, che genera un inseguimento di bisogni culturali espressi, e non quelli latenti, che sono gli unici a generare valore editoriale, nuovo mercato e nuove comunità di lettori. Se si facessero i conti solo con il contenuto e con la scrittura, con il prodotto culturale e non con il prodotto, nel triste senso del nastro industriale, questo pregiudizio che per definizione è un errore, si dissolverebbe come il più sottile dei gas. Il marketing porta in maniera riduttiva un abuso di soluzioni, e le soluzioni sono sempre una trappola, specie in letteratura, impongono uno standard indifferenziato in un mondo che vive di identità differenti. Quelle identità che vanno raccontate nel loro specifico una per una. Le soluzioni, insomma, sono un modo per lavorare meno.

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