PAPAVERI E PAPERE
di Patrizia Birtolo
«Mira bene Gio. Vanne, su».
I cigni dondolano sull’acqua, stretti l’un l’altro. Nella testa di Giovanni vortica un carillon di luci, suoni, colori. Socchiude gli occhi, si sporge appena, tira. Di prendersela con i cigni non gli va, ma potrebbe essere l’ultima occasione d’evitare la silenziosa disapprovazione paterna. Non può sbagliare anche stavolta.
Ha già fallito al tiro a segno, al punching ball “Bad King” – che ha decretato con una sonora pernacchia il suo gancio come penoso – e non c’è stato verso di fargli mettere piede dentro la “Casa degli Orrori”. Forse è per questo che quando Gio ha chiesto lo zucchero filato suo padre ha finto di non sentirlo, di perdersi rapito dal frastuono del Luna Park.
«Bravo!» Suo padre gli scompiglia i capelli, finalmente compiaciuto. Gio è più sollevato che contento mentre osserva il gestore del chiosco sfilare il cerchietto dal collo del piccolo cigno di plastica.
«Ecco un bel premio».
«Ma…»
«Papere mute, mica disturbano».
L’uomo tende la scatola a Gio che sgrana gli occhi. Ha vinto qualcosa. Ora ha un cucciolo.
Nel mare di luci suoni e colori del Luna Park stringe al petto la scatola bucata, pronto a difenderla dovesse costargli imbracciare un fucile vero, prendersi a pugni con una banda di delinquenti, entrare in una casa infestata da entità terrificanti.
«Magna, Giovà! Che è, nun te piace?»
Gio guarda impietrito il piatto. Nonna Adelina gli carezza la testa.
I suoi avevano intimato di portare Lilla in campagna, e, qualche scenata e molte lacrime dopo, aveva ceduto. La papera era troppo cresciuta.
Lilla era muta, sì, ma mangiava – e sporcava – come una disgraziata.
All’inizio i suoi avevano sorriso al vederli tanto inseparabili. Il video caricato sui social, quello di loro due insieme nella vasca da bagno, con Lilla che sguazza e poi usa la testa di Gio come trampolino, aveva ricevuto migliaia di visualizzazioni. Ma neppure centinaia e centinaia di like, alla lunga, possono compensare decine e decine di scacazzate quotidiane da ripulire. Gio s’era raccomandato, telefonando a Nonna tutte le sere, pretendendo video della papera ripresa in ogni momento e occupazione della giornata. Suo padre gli aveva promesso che, se lasciava in pace Nonna gli altri giorni, lo avrebbero portato in campagna ogni fine settimana. Lui aspettava il sabato con trepidazione e cauto timore. Dei suoi genitori non si fidava più, ma Nonna non lo avrebbe tradito. Andava solo tenuta d’occhio, però, perché Gio se n’era accorto: era entrata nell’infida fase in cui ci si scordano le cose.
A conferma dei neri presentimenti, dal loro arrivo di Lilla neanche l’ombra. Gio avrebbe voluto chiedere, ma non osava. Poi l’agghiacciante scoperta. Per pranzo, specialità del maceratese: gnocchi al sugo di papera. Gio s’era chiuso in un funereo silenzio.
«Poro bardascio, svejasse co’ nonna de fianco che…»
L’addetto del 118 copre col lenzuolo la barella, indifferente alle parole di Bruno.
Gio alza lo sguardo su suo padre. Lo vede passarsi il fazzoletto sugli occhi arrossati e nella testa gli vortica una ridda di luci, suoni, colori.
«Che disastro, chissà cosa ci costerà di terapia» sibila Maura, le braccia conserte, serrate intorno al corpo. E Bruno, con voce incrinata «Mi riprenderò, Maura».
«Non tu!» Alza gli occhi al cielo esasperata e scatta con il mento a indicare il figlio.
Poi rincara.
«Tintura madre di papavero, come no. Con la memoria che le restava. Adesso sì che ha risolto i suoi problemi d’insonnia una volta per tutte».
Gio siede all’entrata, agitato. La presenza della cascina, vecchiotta e malandata, di solito riusciva a rimetterlo a suo agio; stavolta no.
Ha un vuoto nello stomaco, un buco nero come la fame rimasta fino a sera quando aveva saltato il pranzo a base di Lilla.
Da molto lontano gli giunge la voce del padre. La sente appena.
«Gio saluta Lilla che andiamo. È nel pollaio, Nonna le stava curando una zampa, voleva aspettare che fosse guarita bene per dirtelo».
Lui fissa il vuoto, più sollevato che contento di sapere che Lilla c’è ancora.
Sta pensando alle serie tv in cui attorno a un morto ci sono sempre poliziotti in tuta bianca che cercano le impronte digitali. Vorrebbe aspettarne uno, tirarlo per una manica, dirgli che non credeva davvero di farcela. Pensava che avrebbe fallito, come ogni altra volta. Voleva punirla, ma non così tanto.
Questo racconto è contenuto nella raccolta ‘C’era una svolta’, a cura di Cattedrale e Scuola del libro.