Lunedì 9. I Racconti degli allievi diventano un e-book

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Quando, nel 2015, è nato Trenta Cartelle, si pensava a un semplice corso dedicato a chi ama scrivere e leggere racconti. Poi, alla sua terza edizione, il laboratorio si è trasformato in qualcosa di molto più complesso, articolato, profondo e significativo: è diventato, infatti, un luogo e uno spazio di condivisione fortissima, in cui non si scrive semplicemente, ma dove la scrittura – e la sua gemella lettura – permettono agli allievi (e anche ai docenti) di aderire a un progetto didattico che svicola dalla semplice formazione. Ciascuno, infatti, diventa parte di un mosaico luminoso di partecipazione attiva, che contribuisce sì al perfezionamento della propria scrittura, ma anche a dare vita a un laboratorio di umanità strettamente connesso alla condivisione del potere letterario. Scrivere finzione, in questo spazio, non significa solo imparare a comporre una storia ma anche a capire come queste storie ci compromettono e ci coinvolgono in quanto persone. Condividere qualcosa di tanto intimo significa, prima di tutto, creare dei legami. Questo e-book, quindi, nasce proprio così: avendo creato diversi e specifici legami. Prima di tutto tra sé stessi e la propria scrittura. Poi tra allievo e docente. E poi, infine, tra gli allievi e i docenti di Trenta Cartelle e quelli del master «Il lavoro editoriale» della Scuola del libro, che con il loro lavoro hanno impreziosito le voci autoriali nate dal laboratorio di Cattedrale. Un lavoro sinergico prima di tutto umano, senza il quale sarebbero vane le precise e necessarie competenze acquisite. Una sinergia che rende il libro quello che deve essere: una creatura strana in cui si incontrano tutti ‒ autori, lettori e il complesso mondo di mestieri e saperi che coinvolge un mucchio di persone che opera dietro le quinte. La collaborazione nata da queste due scuole è preziosa proprio per questo: perché fornisce una formazione specifica, forte e fattiva per due classi di studenti. Ma, soprattutto, perché rende cristallino ciò che spesso è tenuto in ombra: che i libri si scrivono da soli, ma si fanno insieme agli altri.

Rossella Milone
dalla prefazione


Vi proponiamo uno dei racconti della raccolta, e vi invitiamo a leggere l’e-book scaricando il pdf


TRAGUARDI

di Carmine Pignata

Ti senti stranamente sollevata quando ti dice: «Ho bisogno di stare per un po’ lontano da tutto». Siete seduti sui gradini sotto il monumento al centro della piazza e dopo avertelo detto si infila in bocca il suo cono pistacchio e fragola. Poi aggiunge: «Non credere ti stia lasciando, è una cosa momentanea, sento di essermi perso, tutto qui». La sicurezza con cui ti dice tutto qui te la fa sembrare quasi una cosa normale. Quattro turiste giapponesi si fermano a fotografare la statua sopra di voi, osservi i loro piedi, le punte che si toccano e i talloni perfetti. «Capisco bene», dici. «Anch’io mio sono persa una volta da piccola, è brutto quando succede». È la prima cosa che ti passa per la testa e sai che non ha senso, ma non hai più voglia di discutere e sei stanca di chiedere alle persone di smetterla di andare via. Giri il cucchiaino di plastica nella poltiglia incolore che fino a pochi minuti fa era una coppetta limone e amarena. Assomiglia molto alla tua vita. La butti giù tutta d’un fiato. Il freddo rimasto del gelato ti si infila sopra gli occhi, fastidioso e senza preavviso come i tanti venditori di rose che spuntano da ogni angolo della piazza. Serri la mascella e con forza premi il palmo della mano tra il naso e la fronte. Se qualcuno si fermasse a guardare avrebbe l’impressione che stai piangendo.


Dopo due mesi che è andato via l’aria s’è fatta più fresca. Ti sei data delle regole e hai tirato giù una lista di sole cose negative che ricordi di lui: i peli della sua barba mischiati ai residui di dentifricio secco nel lavandino, il suo improvviso fischiettare durante le passeggiate, il trascinare i piedi in giro per casa. Hai sempre fatto così con quelli prima di lui, ed è servito ogni volta per andare avanti. Ogni giorno cerchi di aggiungere qualcosa in più. Su una rivista hai letto dell’importanza delle azioni ripetitive e quindi hai preso l’abitudine di andare a correre tutte le mattine. Esci sempre un’ora prima dell’alba e acceleri le ultime centinaia di metri in modo da avere il sole in faccia. Quel calore ti sembra una specie di traguardo ideale, un qualcosa tutto tuo che ti sei finalmente meritata. A casa per prima cosa spalanchi tutte le finestre e ti muovi facendo più rumore possibile. Poi prepari il caffè e lo bevi che sei ancora sudata, sdraiata sul divano davanti la tv. Ti allunghi e appoggi i piedi su quello che una volta era il suo cuscino preferito. Li affondi lentamente, con cura, fino a sentirlo diventare completamente umido. Pensi che se fosse stato ancora lì t’avrebbe montato una scenata assurda. E allora ti dici ad alta voce, con tutta la sicurezza di cui disponi che sì, per forza quello non poteva essere amore: chi ti ama davvero te li fa riposare i piedi quando sono stanchi. Finisci il caffè e aggiungi questo pensiero alla lista.

È la fine di febbraio e hai cambiato colore ai capelli. Hai buttato il divano in soffitta e comprato una poltrona nuova. È bianca, di pelle e ha lo schienale reclinabile e la modalità massaggio. Il tizio che è venuto a montarla ti ha spiegato che è come avere una decina di mani che ti accarezzano e si prendono cura di te. Hai smesso di far caso al silenzio della casa. Una sera a cena ti hanno detto che è stato in Thailandia e che è tornato una settimana fa. Non hai fatto domande (ma di nascosto hai controllato i messaggi). Pensi di dare una riverniciata al salotto e che sia arrivato anche il momento di cambiare le pentole della cucina. A tutti quelli che te lo chiedono dici: no davvero, sto bene adesso, non ci penso nemmeno più, le persone adulte vanno avanti, no? Poi sorridi ogni volta e davvero cerchi di non pensarci.

Ti chiama un lunedì sera da un posto affollato. Dal telefono senti rumori e risate e annunci fatti da una voce elettronica. Una stazione forse. «Ho voglia di vederti», dice come se non fosse mai stato dall’altra parte del mondo. «Io non sono mai dovuta andare così lontano per trovarmi», dici. «Se ti va ne parliamo più tardi», dice. «E poi a casa ho delle cose da prendere». Mentre tagli la verdura pensi che in effetti metà dell’affitto lo paga ancora lui. Allora dici: «Se vuoi c’è la minestra. Io ceno alle nove». «Non m’è mai piaciuta la minestra, lo sai». «Lo so». E agganci. Arriva che sono le dieci e mezzo. Quando apri la porta senti odore forte di cocco e di qualcos’altro che ti ricorda l’estate. È dimagrito male. La pelle sotto il mento è più flaccida di come te la ricordi, straborda dal colletto troppo stretto della camicia. Le rughe intorno ai lati degli occhi sono profondi solchi bianchi che fanno contrasto col colore rossiccio dell’abbronzatura. Fai fatica a immaginarlo a quattro mesi fa. Sembra una versione diversa di sé stesso. «Mi sei mancata piccola», ti dice e ti allunga una bottiglia di rosso. Non ti ha mai chiamata piccola e hai l’impressione di parlare con un estraneo. Gira per casa tenendo le mani in tasca, lo osservi per intero facendo su e giù con gli occhi, e in quel momento pensi a quelli che vanno in certi paesi per le ragazzine. L’hai visto una sera in uno speciale in tv e ti ha fatto schifo. Provi a immaginarlo fare sesso con decine di puttane contemporaneamente, che sorridono ogni volta che le chiama piccole. Ti accorgi che la cosa un po’ ti eccita e cerchi di scacciare via quel pensiero. Senza chiederti il permesso prende un disco e lo lascia scivolare delicatamente sul piatto. La musica si mischia al gracchiare della puntina. È la tua canzone preferita e lui lo sa. Sorride e tu non sai cosa fare. Ti aspetti una qualche spiegazione e invece ti sorride soltanto. Quando si avvicina e ti accarezza i capelli sai bene che rovinerai tutto, ma ti lasci trascinare comunque verso la camera da letto. «Mi sei mancata davvero», dice. Ti scopa da dietro, con la tua faccia schiacciata contro il cuscino, come se fosse un altro o come se tu fossi un’estranea, non riesci a capirlo. Nessuno dei due dice nulla. Lo spingi via per un attimo e ti giri per costringerlo a guardarti negli occhi. Alla fine crolla senza fiato dandoti le spalle in quella che era la sua parte di letto.

Il tuo corpo ha una memoria tutta sua e sa le cose meglio di te. Alle cinque spalanchi gli occhi e scatti fuori dal letto pronta per correre. Dovresti ascoltare le tue gambe e fuggire il più lontano possibile, invece ti trascini lentamente verso la cucina. Prepari il caffè e dal mobiletto sopra il lavello prendi una tazza pulita per te e ne sciacqui una per lui. Dalla fine stra arriva un vento freddo. Stringi con tutt’e due le mani la tazza bollente. Senti il rumore delle sue scarpe che arrancano sul parquet. È vestito di tutto punto. Ha anche pettinato i capelli all’indietro. Tiene stretta tra le mani una cartellina azzurra. Si avvicina sorridendo per darti un bacio. Ti scansi ed eviti di guardarlo. Anche se non ti tocca senti comunque il profumo della sua pelle. Vorresti che l’aria del mattino fosse più forte del suo odore. Accende la tv e si siede a bere il caffè. «Oggi ho delle cose da fare», dice senza togliere gli occhi dallo schermo. «Però dobbiamo parlare, sarebbe un peccato perdere tutto questo, non credi?» Gli dai le spalle e vai verso il bagno. «Ho sempre odiato quando lo fai, quel cazzo di modo in cui cammini», dici mentre chiudi la porta.

Esci di casa che lui è ancora seduto in cucina. Per la prima volta da mesi sei in ritardo sulla tua tabella di marcia. Correndo ti ripeti che stavolta non sarà lui il primo a parlare, sei decisa a chiudere la cosa alle tue condizioni. Gli ultimi metri rallenti il ritmo fino a fermarti, ti pieghi con le mani sulle ginocchia per prendere fiato. È appena tornato e già ti sembra di non riuscire più a tenere il passo. Respiri profondamente e l’aria fredda ti dà un piccolo capogiro. Controlli l’orologio e ti accorgi che è troppo tardi, l’alba inizia a coprire con una luce leggera gli alberi e l’erba umida del parco. Te ne resti lì immobile a guardare. Tutto ti sembra essere come qualcosa di non ancora compiuto, sospeso in quel momento opaco che non è ancora il giorno, che non è ancora niente. Ti sdrai sull’erba e respiri lentamente. È davvero un bel momento questo, pensi. Dovrebbe essere sempre tutto così.